La battaglia del grano di ieri e quella indifferibile oggi

La dittatura del clic
Summo cum labore bonum publicum 

1 novembre 2020

Domenica di sole con la fuliggine di qualche pensiero al Covid nel mercatino di piazza del Carmine a Cagliari.
Per leggere qualcosa ancora sulla “Battaglia del Grano” bisogna prima combattere la battaglia di Efisio (per chi vuole approfondire: Orrù di cognome).
La giornata dedicata a Tutti i Santi non intenerisce il veterano dei bibliofili nonostante la sua assomiglianza – pizzetto e baffi – al santo Efisio, molto venerato dai cagliaritani e celebrato annualmente con la sagra in costumi più bella del Pianeta.
L’acquisto del manualetto “Seminare e raccogliere” edito nel 1937 si realizza infine col rituale compromesso tra domanda e offerta.

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A parte la micro epica del sottotitolo Brevi nozioni per la massaia rurale che vuol “tirare diritto”, e l’avviso pubblicitario che propone un arredo dell’era descrivendo un Fascio littorio luminoso con vetri bianco, rosso e verde rilegati in ottone”, il libricino espone una serie di brevi nozioni su allevamento di polli, vacche, porci – li chiama ruralmente così, non maiali – pecore, conigli, api, bachi, e ancora brevi nozioni su come tenere l’orto, su Le piante che guariscono i malanni e altro ancora, per terminare con quella trattazione sulle cure da dedicare al proprio terreno che viene da definire Ode alla zappa.
Il tutto presenta a intervalli delle massime come: “Chi non semina non raccoglie né poco né molto”, “I popoli che abbandonano la terra sono condannati alla decadenza”, “Ruralità: fatica seria, incessante, amorosa”, e infine “La terra dovrà ridare al mondo la sua serenità e la sua ricchezza”.
Sfido qualsiasi lettore non assiduo di storia del ventennio fascista a desumere da queste massime l’identità del suo autore; potrebbero essere state scritte non necessariamente da un ben noto ex maestro di scuola elementare ma da un qualsiasi educatore di tutti i tempi, specie di quelli di pestilenza, di Covid.
Già, il bambino, cioè il buono di qualsiasi faccenda, nuota talvolta in acque sporche, ma non per questo merita di essere buttato via, e men che meno quella zappa che milioni di bambini educò al lavoro, duro sì, che però gli conservò la vita.
Vita che l’acqua sporca della dittatura tolse a molti di quei bambini sani impiegandoli una volta cresciuti in guerre a mezzo Pianeta; dittatura spazzata via proprio dalla sua stessa acqua sporca, da quelle tante guerre d’offesa cioè che nessuno rivuole.

E la dittatura del clic?
La dittatura dei tanti Lucignolo al Governo che con un clic sul comodo computer di bordo preferiscono sovvenzionare l’esistente invece di affrontare le programmazioni indifferibili dello Stato in materia di agricoltura diffusa?
La dittatura dei Ministri che erogano con un clic dopo l’altro sussidi in danaro con infeconda pioggia elettoralistica?
La dittatura dei partiti che con una marea immonda di clic non investono risorse sui campi e sulle industrie e sui servizi già in parte produttivi grazie al sudore del lavoratore ma nelle tasche di fannulloni sterili che escogitano mille modi per sfuggire alla civile chiamata alle armi del lavoro di oggi?
Questa dittatura del clic quand’è che la spazziamo via?
Saremo di nuovo tanto vigliacchi da aspettare per farlo un’altra guerra vinta da transalpini non meno sporchi di noi?

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Il lettore di OBLO’ stia pure tranquillo e non pensi male dell’articolista, anche se gli farà leggere questo pezzo, Efisio (per chi vuole approfondire: Orrù di cognome), uno sconto più alto la prossima volta non glielo farà lo stesso.
Perché ha ottanta anni, e ancora tira su il gazebo per poter lavorare anche quando piove.

 “Servizio obbligatorio di leva civile in Italia”   Claudio Susmel

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