Presidente Meloni
gli operatori socio sanitari gli infermieri e i medici l’aspettano
Dulcis et decorum est pro Patria mori
sed etiam vivere
19 giugno 2023
Qui si fa l’Italia o si muore.
La frase gridata da Garibaldi in Sicilia, durante i combattimenti della Seconda Guerra d’indipendenza Italiana ( 1859 – 1860), é stata pronunciata dal Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia Giorgia Meloni, a significare che oggi come allora non ci sono spazi per esitazioni e viltà; l’ho ascoltata con piacere, non solo perché ne condivido il significato, ma anche perché finalmente non si é fatto ricorso a puzzolenti e truculente citazioni transalpine per esprimere lo stesso significato.
Per il fronte interno quale é la parola d’ordine?
***
Dove si vede che la trincea di guerra assomiglia a quella di pace.
Stavo innaffiando le mie piante in veranda.
Arriva la cartolina precetto: in grigio verde sul fronte monserratino.
Neanche il tempo di sfogliare un numero de ” La Tradotta” che vengo investito dal gas.
Una valanga di terriccio e pietre con dentro due austriaci ammanettati precipita in trincea, seguiti da Maurizio, maglione nero a collo alto, pugnale, e sulla bocca “Giovinezza giovinezza” d’ordinanza non ancora con strofa del PNF aggiunta in coda: un Ardito; ha una ferita al collo medicata alla meno peggio.
Si scontra con un disertore che due carabinieri stanno conducendo davanti a un muro per fucilarlo.
Prima che Maurizio riesca ad inveire, Mauro medico disertore cava qualcosa dalle tasche, e con i propri capelli a piccole ciocche un po’ appiccicati, camminando un po’ curvo nella sua trasandata divisa grigioverde, parlando a voce bassa, gli sistema la ferita.
“Vieni con me”.
“Sono un disertore”.
“Me ne frego, curerai i miei”.
Uno dei carabinieri di scorta prova ad imbracciare il fucile, ma l’Ardito Maurizio gli punta il pugnale alla gola senza pronunciare una parola.
Il disertore Mauro parla di obiezione di coscienza con brevi apologhi che si perdono tra il fango della trincea e il vento umido, mentre l’Ardito Maurizio canta con i movimenti dei suoi muscoli nervosi.
Li vedo allontanarsi verso l’ansa rocciosa della trincea, chiamata con un certo ottimismo Pronto Soccorso Monserratino dal nome di un piccolo borgo agricolo con vista sul Piave.
Ci finirò anch’io al Pronto Soccorso Monserratino, e aspetterò dieci ore per un posto in branda e un po’ di grappa in gamella, al riparo dello spuntare di roccia che protegge l’entrata della trincea.
Una crisi respiratoria aggravata da un infermiere maldestro mi spedirà in “TMI” (Trincea Molto Intensa), come l’hanno soprannominata i tanti soldati gasati dagli austroungarici e dalla sventura prima di me.
Mi sveglio senza riuscire a sollevare le palpebre, vedo doppio, cammino a fatica, respiro con una specie di tubo che mi lesiona gli angoli della bocca, mentre mi viene pompato ossigeno nei polmoni. Resterò così per 40 giorni. Mi consolerà sentire parlare dell’entrata dei soldati italiani a Gorizia e di Pietro Badoglio che prenderà il Monte Sabotino.
Poi iniziano gli incubi.
Vedo il mio braccio sinistro insanguinato e una piccola donna vestita di bianco che si avvicina e dice due sole parole: “Che palle”. Nonostante il mio cervello sia scardinato dal gas, mi chiedo da dove venga quell’espressione; non ho però il tempo di riflettere, perché avendo io mosso le gambe, un’altra piccola inumana bipede col nome che mi sembra iniziare con la “B”, si rivolge a me con un “Sto perdendo la pazienza”.
L’incubo va in dissolvenza. Riesco a mandare in su una palpebra sull’occhio destro e così vedo due medici che mi osservano, mentre scribacchiano qualcosa su una cartellina. Vestono divise non italiane; sento confusamente che uno si chiama Du Barre’, l’altro Miller. Si allontanano.
Comincia a piovere.
La trincea sul fronte monserratino diventa una palude. Da una sporgenza di terra non lontana una rana mi guarda, aprendo ogni tanto la bocca enorme, gracidando forte.
Mi parla.
La bocca della rana diventa enorme, ne esce un telo bianco sul quale è proiettata come in un film una camerata di soldati italiani feriti e intubati.
Un’orchestra di mostri, parenti sudici della rana, gracida assordante con la cadenza campana di uno di loro che si distingue tra le tante; non si curano delle grida d’aiuto dei
soldati.
Un tubo si stacca dal raccordo che mi invia l’ossigeno e io urlo terrorizzato.
Poi il grigio verde della mia divisa si fonde col verde limaccioso della rana che ridiventa piccola e infine sparisce.
Ho rivisto, rivisitato dalla nebulosa di sguardi e pensieri che avvolge il mio cervello, episodi realmente accadutimi?
Sto un po’ meglio, mi spostano a quattro chilometri dalla Trincea Monserratina.
Ho finalmente potuto mangiare qualcosa di solido, ma la soddisfazione é durata poco: le uova sode stantie, la pastasciutta molle fuori e cruda dentro. Il dispensiere, tra due marmittoni, mi sorride con ironia e compartimento.
Alzo lo sguardo e vedo una tavola sospesa tra due spuntoni di roccia, con su una scritta: Mensa Terzilli. E’ il nome dato dai miei commilitoni più anziani alla ditta appaltatrice del servizio mensa del Reggimento; quello vero non lo abbiamo mai conosciuto.
Perché l’hanno chiamata Terzilli?
O il nome che ho letto era Tersilli?
***
Dove si vede che la trincea di pace assomiglia a quella di guerra.
Chiacchiericcio a voce alta nei corridoi di notte? Suonare il campanello per chiamare un infermiere o un OSS e avere risposta dopo mezza ora? Qualche atteggiamento di superiorità nei confronti dei pazienti che proprio perché tali necessitano invece solo di servizio, e quando gravi di dedizione assoluta? Medicinali che non si trovano e parenti dei pazienti costretti ad andare avanti e indietro per reperirli? Appuntamenti di qualche medico col paziente saltati? Destinazione annunciata per la riabilitazione una due tre volte e poi smentita? Durante sei mesi e 23 giorni di degenza ho certo potuto verificare tante manchevolezze, ma anche dedizione e professionalità generose; la loro somma algebrica mi ha rimesso in piedi.
Sul fronte interno sono le corsie degli ospedali, delle RSA, dei Pronto Soccorso, le trincee dove gli italiani mostrano il loro valore, non raramente fino all’eroismo.
Lì si fa la corsia o si muore
A lei Presidente Meloni rendere l’Italia fiera non solo dei suoi eroi, ma anche delle sue strutture.
Tra una presenza e l’altra nei convegni internazionali – Orban, come Franco a suo tempo, non sacrificherà mai né un soldo né un uomo per l’Italia – trovi il tempo di venire a vedere un Operatore Socio Sanitario mentre di mattina, ogni mattina, fa il bagno a letto a trenta pazienti. Venga a vedere un infermiere tra dieci prelievi venosi e venti medicazioni varie quotidiani. Venga a vedere un medico che verifica lo stato di salute di decine di malati tra un ricovero urgente e la registrazione di un decesso notturno.
Cose risapute? Peggio mi dice se non c’è stata reazione pronta e immediata.
Corsi di formazione per altri medici infermieri e OSS, così che insieme a quelli già in servizio possano occuparsi con più tempo di meno pazienti? Un elenco delle prestazioni fornite dai vari ospedali e RSA verificato dallo Stato con l’elenco delle prenotazioni per un posto letto pubblicato da qualche parte per evitare nepotismo laico e religioso?: per esempio, quali ospedali e RSA possono stabilmente occuparsi in Sardegna di pazienti dipendenti dalla respirazione meccanica di un ventilatore? Stipendi minimi fissati dalla legge per tutto il territorio nazionale nel settore pubblico e in quello privato? Ispezioni multiple negli ospedali, nelle RSA, nei Pronto Soccorso?
Che sa il blogger? Questo è il suo mestiere Presidente, e dei suoi collaboratori.
L’unica cosa che il blogger sotto scritto sa per certo è che la sanità che ha visto in sei mesi e ventitré giorni va avanti solo per l’eroismo di pochi e la decenza di parecchi, non certo perché tutto sia sufficientemente efficiente.
Venga in corsia Presidente, il fronte interno è fondamentale per il benessere della Nazione anche in tempo di pace.
Gli italiani, che hanno imparato a ragionare senza schemi ideologici, si ricorderanno alle prossime elezioni di chi si è preoccupato ogni giorno di salvare loro la vita e di chi invece ha lasciato che rimanesse in pericolo.
E non esiteranno a votare per un altro partito, come hanno già fatto negli ultimi anni.
Qui si fa la corsia o si muore.
***
Un’ultima lettura dell’accaduto che non è egoistica perché può e deve riguardare qualsiasi paziente che sia stato più volte in pericolo di vita.
Non dimentico la Dottoressa Anna Manca che mi ha diagnosticato l’urgenza del ricovero, la Professoressa Monica Puligheddu che mi ha seguito dall’Ospedale alla RSA con più attenzioni e solleciti interventi, l’insostituibile primario e merito Dottor Paolo Castaldi che mi ha staccato dal ventilatore, il Dottor Kais che è andato avanti e indietro dal reparto per modificare l’apporto dell’ossigeno eliminando così la mia fame d’aria, i medici specializzandi in neurologia Mauro Sanna e Luca Vinci, “ufficiali di collegamento” che mi hanno costantemente informato sul decorso della mia malattia, il Direttore Tedde costretto a far quadrare i conti restando efficiente e cortese, la Caposala Sara Piga indefessa mia ascoltatrice oltre che terapeuta, Stefano Gessa e Carla Manca preziosi fisioterapisti, Donatella, Valentina e tanti altri OSS, e infermieri e medici degni di citazione particolare.
Per un altro tentativo di ricordare di più, scrivo tanti nomi e cognomi mischiati tra di loro come in reparto: Castaldi, Puligheddu, Tedde, Sanna, Kais, Salis, Vinci, Masala, Billa, Orefice, Matteo, Riccardo, Angela, Debora, Bice, Giulia, Donatella, Coda, Valentina, Cristina (3), Alessia “drin drin campanellin”, Stefano, Mauro, Danilo, fratelli Claudetti, Gianluca, Carla, Silvia, Graziella, Maurizio, Muroni, “Frangetta dolce e triste”, Paolo, Angela OSS, Sara.
Tutti, e altri ancora, si sono occupati di me salvandomi la vita e rimettendomi in piedi.
Ne valeva la pena di impiegare tante persone e tanto lavoro per me?
Secondo me sì.
“Servizio di leva militare obbligatorio in Italia” Claudio Susmel
1924 – 2023
Novantanovesimo anniversario dell’annessione di Fiume all’Italia
Memoria Patriae prima vis