La trincea insanguinata del Mediterraneo Centrale
Dum Romae consulitur Tunes expugnatur etiam
Il 18 marzo 2015 un commando di terroristi assalta a Tunisi il Parlamento tunisino e il Museo del Bardo, uccidendo decine di persone; quattro i morti italiani.
Il presidente tunisino Essebsi ha detto esplicitamente: “Siamo in guerra”.
A tanta diretta presa di coscienza tunisina della situazione, anche lessicale, pare non corrisponda percezione speculare da parte dell’Italia; e dire che siamo proprio di fronte alla Tunisia, e ad essa vicini.
E’ indilazionabile una vigilanza armata dell’Italia, limitata alle acque internazionali non lontane dalle coste tunisine e libiche. Le nostre Forze Armate vanno impiegate, senza ambiguità operative e lessicali, per quello per cui sono state costituite: la difesa dei confini d’Italia, avendo per certo che quelli marittimi non sono meno vulnerabili di quelli terrestri.
Vigilanza che deve essere portata avanti dalla nostra nazione in paziente attesa che le altre nazioni d’Europa decidano di intervenire sulla frontiera marittima tra il “Vecchio” ma non ancora decrepito Continente e il Continente che ieri veniva definito “Nero” per la pelle dei suoi abitanti mentre oggi la stessa aggettivazione richiama sempre più spesso le sinistre bandiere dell’Isis.
Parallelamente alla vigilanza armata in acque extraterritoriali andrebbe effettuato il blocco totale dell’immigrazione; blocco che se già sarebbe stato utile prima dell’attentato di Tunisi, in quanto avrebbe consentito il dirottamento degli uomini impiegati nel controllo delle migliaia di immigrati verso la sorveglianza di obiettivi sensibili nazionali, ora lo è doppiamente, perché come ha detto il Presidente Essebsi: “Siamo in guerra”.
Non solo in Tunisia, o in Libia, ma in quel Mediterraneo sul quale si affacciano ottomila chilometri di coste italiane.
Pure non dobbiamo lasciare sola la Tunisia.
La presenza però in quella nazione di centinaia di migliaia di libici le cui relazioni con i concittadini rimasti in Libia nessuno può accertare, le partenze di tanti combattenti tunisini per la Siria, l’incerto controllo del confine tunisino libico da parte del Governo tunisino, sono alcuni degli elementi che suggeriscono di non consegnare armi a quel Governo, perché non sappiamo se i soldati che le riceveranno resteranno tutti fedeli ai principi di democrazia e di libertà religiosa e perché non sappiamo se il Governo in carica sarà costretto a cederle ad altri da una delle tante consorterie terroristiche che oggi abbrunano le spiagge meridionali del Mediterraneo.
L’aiuto dell’Italia consista perciò in missioni civili con copertura militare che portino in Africa capiservizio e dirigenti, sergenti e generali, per iniziare, perfezionare o completare progetti specifici, non in ingenti quantità di denaro facili da erogare ma altrettanto facili da dirottare verso scopi diametralmente opposti a quelli cui li si vorrebbe indirizzare.
Insomma, in divisa o in abiti civili, bisogna lavorare.
Non si tratta di fare un’adozione a distanza ma di intervenire con liberalità circospetta, faticosa, continua: professionale.
Claudio Susmel
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DI CHI DESIDERA ESSERE INSERITO NELL’INDIRIZZARIO DI OBLO’
La nostra politica (lo Stato in politica estera è come se non esistesse), non è in grado di affrontare questi problemi. Allora, finchè potremo, nasconderemo la testa sotto la sabbia (come già stiamo facendo), poi giocheremo a fare i furbi, ed inevitabilmente sbaglieremo di grosso, come è sempre avvenuto e come sempre accadrà.
Se non si cambia la testa agli italiani…………
Passano le generazioni ma non abbiamo seguito. PERCHE’ ?
Forse perché non si guadagna facile?
Gianna