8 marzo, Festa della donna

Rosa bianca con sorriso
Nova pro nupta donum

La rubai a notte.
Fu in un tempo in cui potevo. Ero forte.

Il vento da fresco stava diventando gelido. La luna navigava tra nuvole corte che da bianche stavano diventando nere.
Padre, madre e fratello la tenevano in mezzo. La riportavano in pianura, alla quieta casa d’ogni giorno. Quasi riuscivano ad uscire dalla mia montagna.
Ma commisero l’errore di stancarsi.
Si fermarono. Sedettero sui ceppi dei pini destinati dal tagliaboschi al caminetto della casa baronale.
Passai galoppando in mezzo a loro, sul mio cavallo palesemente orgoglioso dell’avventuroso padrone che si portava in groppa, e ansioso di fare bella figura.
Lei era in piedi; sotto le stelle, alta, elegante, con la faccetta innocente di rosa bianca.
Aveva belle labbra.
La strappai al tappeto verde di aghi di pino, alla sua famiglia.
Ed all’innocenza anche, perché negli occhi suoi quando mi riconobbe, non vi fu per me solo la paura, ma anche il sorriso.

Restarono padre madre e fratello desolati e senza sangue, a patire.
Un po’ di sangue ritornò ed essi si alzarono ad imprecare, sterili.
Il mio cavallo volse il muso verso di loro e lasciò rotolare fuori dal lungo collo una risata senza fine, che nitrì dentro i loro orecchi fino a che non sparimmo dalla loro vista.
Il mio buon cavallo volse le zampe veloci solo in avanti, verso la cima della mia montagna.
Ma prima sputò verso di loro.
La sua bava d’argento, lucente nella notte, riempì i solchi lasciati dai carretti fra le zolle della prima montagna e li allagò, riempì anche il disegno appena tracciato dei torrenti che si stavano già prosciugando perché era in arrivo la stagione nuova.
Così, padre madre e fratello fecero fatica a seguirmi, per via delle gambe immerse nel vischio che il mio fedele amico aveva frapposto tra me e loro.

La rubai a notte perché mai me la vollero dare di giorno.
Perciò la rubai a notte.
E l’amai.

 ***

E l’amo ancora.
Anzi, proprio ieri abbiamo portato ai nonni la gemma sbocciata quella notte.
E tutto era passato mentre con le spalle al fuoco del camino un odore di pane fresco stava per casa, ed io ascoltavo il padre la madre ed il fratello e gli eterni loro assennati progetti.
E guardando la mia sposa pensavo: ed ora che m’inventerò per farla sorridere di nuovo?

Claudio Susmel

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