Un pranzo alla Marina con la partecipazione straordinaria di Elisa

Ristorazione con disponibilità non illimitata
ma sempre con dialogo civile
Labor

26 novembre 2019

Un pranzo alla Marina, quartiere tipo di uno delle centinaia di Comuni italiani costieri.

Prima di uscire di casa avvisto un cielo con nuvole, calzo polacchine veterane, se si bagnano si deteriora un capitale economico residuo.
Parcheggio in 10’, non male; in lista d’attesa in seconda fila, coprivo la metà anteriore del parcheggiato in uscita, un altro aspirante pedone quella posteriore, stavolta è andata bene a me.

Ingresso in strada ristorazione con una accattivante promotrice, alta magra dal bel viso con invito sorridente a entrare nel ristorante che le fa da sfondo. Assicuro attenta riflessione post ricognizione per tutta la galleria gastronomica a cielo aperto.
Primo tentativo in un locale che promette di pensare a farti star bene, ma l’unico tavolo per due libero è a fianco di un altro con coppia assisa che vedo iniziare a gemere internamente al pensiero di essere costretta a coccolarsi sotto voce per la presenza dell’estraneo a fianco.
Chiedo di sedermi in fondo.
“No, il tavolo è per cinque” (il locale, alle 12 e 40, è semivuoto).
“Grazie, no, a fianco non mi siedo”.
“Spiacenti”.
Esco.
Ulteriore ricognizione.
Locale tradizionale, 12 e 45 ,sbaglio ingresso accorgendomi in ritardo che quello principale è chiuso.
“Ho sbagliat0 ingresso?”
“Ci dia dieci minuti poi la facciamo accomodare”.
“Grazie”. Esco.

Osteria. Dall’interno colui che chiamerò il Capitano Nemo perché non ne ho chiesto il nome mi avvista e si avvicina alla porta.
“Il tavolo più isolato possibile?, (non ascolto i fatti altrui e pilucco talvolta con le mani).
“Si”.
Mi siedo. Capitano Nemo, sempre cortese mai invadente, mi presenta anche il menù turistico.
“Vino bianco insieme alle vongole?”
“Sì”. E’ fresco.
“Fritto misto e patatine fritte, si possono avere ben cotti?”
“Certo”.
Solo gli anelli dei calamaretti non risultano al massimo, i piedini e tutto il resto sì.
A questo punto davanti al mio tavolo frugoleggia Elisa per entrare dove si entra da soli, e mi comunica briosa: “Cacca.” La ringrazio per la preziosa informazione. Seguono le scuse della madre. Gesto mio assolutorio.
Segue un ottimo caffè, caldo – significa che non lo hanno lasciato sul banco dopo averlo preparato – e chiusura regionalizzata obbligatoria con mirto.
“Giorno di chiusura?”
“ Mai”, mi risponde il Capitano Nemo, indicandomi così la rotta seguita dall’armatore.“ “Avete capito tutto allora.”
“Sì”.
Lento pede post prandium deambulans sono soddisfatto di aver pranzato in un’osteria che col nome, il cibo, e il servizio, fa onore all’italianità della ristorazione.

Poi a casa leggo le generalità scritte sullo scontrino sotto il nome del locale e ne riscontro le inequivocabili caratteristiche orientali.

Servizio obbligatorio di leva civile in Italia   Claudio Susmel

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