L’Italia, i successori di Gheddafi
e “ Il giorno della vendetta”
Numerosi epicentri di violenza sanguinaria sui litorali meridionali del Mediterraneo, non da oggi.
Uno proprio vicino a noi.
Gli ignoti cittadini che qualche anno fa hanno assaltato in Libia il consolato italiano di Bengasi, reclamavano vendetta contro la passata occupazione coloniale italiana.
Il colonnello Gheddafi, allora dittatore incontrastato di quella nazione, aveva parlato di una manifestazione con intenzioni omicide che era riuscito a fermare.
Rendiamo grazie postume.
Tuttavia, il vecchio slogan pubblicitario prevenire è meglio che curare suggeriva che sarebbe stato preferibile non celebrare ogni anno “Il giorno della vendetta” a ricordo dell’occupazione italiana, onde evitare che i perennemente deambulanti e ciondolanti professionisti dell’ozio si trasformassero facilmente in adepti sanguinari incontrollabili, come di fatto è poi accaduto con la detronizzazione e l’assassinio dello stesso Gheddafi.
Il suggerimento del vecchio slogan è sempre attuale.
A che servirebbe infatti ai politici libici covare in silenzio contro l’Italia nuovi giorni della vendetta?
Magari suggeriti da nazioni straniere ansiose di sostituire l’operosa presenza italiana in Libia, perché interessate al suo petrolio, e perciò inclini a fomentare sanguinose guerre tribali che destabilizzino l’intera nazione. Denominando poi con intrepida ruffianeria “Primavere arabe” queste lugubri per quanto assolate stagioni delle rive mediterranee meridionali.
Giorni della vendetta suggeriti forse anche da quella parte di libici che si mummifica in inconfessate millenarie nostalgie per il loro campione africano Annibale, che duemila anni fa valicò le Alpi con armi ed elefanti. A quella parte della popolazione libica, speriamo non numerosa e soprattutto non profetica, si suggerisce di venire nei nostri campi, nelle nostre industrie e nelle nostre università a studiare il nostro ingegno e la nostra litigiosità politica perenne ma incruenta; senza vagare con la fantasia intorno a improbabili marce su Roma, che alla resa dei conti sono in passato risultate letali sia per il condottiero punico che per qualche nostro connazionale.
Non facciano imputridire le loro menti sull’imperialismo di parte del popolo italiano di ieri e non si inveleniscano per le improvvide esternazioni razziste di qualche suo brufoloso rappresentante di oggi.
In fin dei conti, non solo per la loro religione ma anche per tutte le altre Dio è grande e gli uomini sono piccoli.
Qualche volta proprio di bassa lega.
Claudio Susmel