L’Italia prepari alcune missioni armate nelle acque internazionali contigue a quelle libiche

In attesa della missione O.N.U. Tamquam ad integrum bellum lente festinamus

Dopo l’accordo firmato dall’Italia con la Libia di Gheddafi che aveva garantito buoni affari alla nostra nazione, c’è stata una discreta fretta da parte di altre nazioni nel bombardare la Libia a sostegno di una presunta “Primavera Araba”.
Subentrato alla presunta “Primavera araba” un sanguinosissimo “Autunno libico”, sembra che non vi sia oggi altrettanta urgenza nel risolvere i problemi determinati da quell’intervento.
Che potrebbe fare l’Italia in attesa di una auspicata missione internazionale?

Bloccare gli sbarchi degli immigrati clandestini dalla Libia perché esiste il rischio della presenza tra loro di terroristi o di passeggeri infettati dai virus più diversi, e perché le migliaia e migliaia di immigrati impegnano risorse non solo economiche ma anche organizzative, civili e militari, che le non ridenti risorse economiche di oggi ci impongono di dedicare alla sicurezza nazionale.
Chiedere alla Marina Militare e all’Aviazione Militare che in acque internazionali combattano il naviglio nemico pilotato dai pirati, senza sottovalutarlo solo perché di infime dimensioni visto che i danni che causa sono grandissimi.
Rafforzare i dispositivi di difesa intorno alle imprese italiane che lavorano in acque territoriali della Libia, d’intesa con il Governo libico di quel dato territorio (tripolitano o cirenaico), chiamandosi fuori da qualsiasi conflitto civile libico.

Alleggeriremmo così il fronte interno e allo stesso tempo ci avvicineremmo al teatro di operazioni terrestre – in senso fisico e non solo – senza esservi coinvolti irreversibilmente.

Claudio Susmel

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