Pericoloso trascurare il confine marittimo tra l’Italia (Europa) e la Libia (Africa)
Circumscripta in dubiis agere
Che accade mentre il terrorismo organizzato dell’Isis si espande in Africa oltre che nel Vicino e Medio Oriente?
I nostri alleati statunitensi sono molto attenti e molto attivi sul fronte asiatico. Del fronte marittimo tra l’Italia e la Libia non sembra se ne preoccupino moltissimo, forse perché l’Arabia Saudita ha abbassato i prezzi del petrolio mettendo già molte società petrolifere statunitensi in difficoltà gravissime, e perché dalla Croazia hanno ottenuto molte concessioni petrolifere in Adriatico; difficile quindi figurarsi che abbiano fretta di impiegare i loro soldati perché la Libia possa di nuovo estrarre il petrolio nelle quantità ottenute durante il regime di Gheddafi. A meno che forse non arrivino segnali concreti di minaccia alla sicurezza delle basi statunitensi in Italia.
L’Egitto reagisce all’offensiva dell’Isis creando una cintura di sicurezza intorno ai suoi confini con la Libia, per proteggere i propri cittadini e puntare più da vicino i cannocchiali dei propri generali sui siti petroliferi della Cirenaica.
Altri, dopo la tragedia internazionale ottenuta con l’intervento armato contro Gheddafi che ha regalato alle nazioni rivierasche del Mediterraneo ondate su ondate di sangue e di immigrati, è possibile che stiano dietro le quinte limitandosi a fare affari, in attesa di nuovi eventi o mestando per promuoverne di nuovi nel proprio cinico interesse.
Che potrebbe fare l’Italia in attesa di una auspicata missione internazionale?
Dare armi ai libici andrebbe escluso, se non altro perché si potrebbe sbagliare destinatario e perché non è sicuro che raggiungano le mani scelte dal nostro Governo e vi rimangano.
C’è però un capitale che ancora possiamo sfruttare ed è proprio la nostra vicinanza ed insieme lontananza dai confini libici: siamo vicini ma via mare, l’Italia non costituisce cioè una minaccia contigua di sconfinamento terrestre come la Tunisia, l’Algeria, il Niger, il Ciad, il Sudan e l’Egitto, eventualmente spalleggiati da vari associati transcontinentali. Questa vicinanza ed insieme lontananza è stata confermata anche dalla recente ritrosia dell’Italia a intervenire contro Gheddafi; allora i primaverili insorti l’avrebbero forse voluta più pronta, ma quando, a sanguinosissima selezione avvenuta, alcuni di loro saranno definitivamente al potere, monocraticamente o con non longevo regime democratico, si ricorderanno che l’entusiasmo e la velocità nel bombardare le loro case non hanno caratterizzato l’azione del nostro Governo ma quella di altri.
Quindi?
Quindi, asserragliati da doverosi e numerosi dubbi circa la costituzione materiale della Libia – non quella codificata da trattati che vengono stracciati e riscritti di continuo –, sarebbe opportuno riaccreditare la nostra immagine non colonialista continuando ad abdicare a imprudenti impudichi imperialismi bellicisti, ma al tempo stesso compiere quelle operazioni circoscritte che non pregiudichino alcuno sviluppo futuro: stiamo presso i confini italo libici, sul mare di nessuno, in acque extraterritoriali, per bloccare il flusso migratorio piratesco, affondando i barconi – subito, sul posto – prima che abbiano imbarcato gli emigranti o dopo averne tratto in salvo gli occupanti ormai saliti a bordo.
Continuiamo a chiamarci fuori da qualsiasi conflitto civile libico, ma avviciniamoci al teatro terrestre di operazioni – in senso fisico e non solo – senza esservi coinvolti irreversibilmente. In paziente attesa che O.N.U., N.A.T.O., e quant’altri che risultino nostri alleati per conferimento di contributi pecuniari, di mezzi e di uomini, si degnino, seppur con calcolata lentezza, di intervenire sulla frontiera marittima tra Italia e Libia, tra Europa e Africa, tra Occidente e Isis.
Il blocco navale vero e proprio attuato con la collaborazione delle Marine europee – non solo europee? – a guida italiana e sotto l’egida dell’O.N.U., costituirebbe in seguito lo sviluppo naturale e coordinato di un primo susseguirsi di azioni mirate della nostra Marina e della nostra Aviazione.
Claudio Susmel
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