La lingua universale della Chiesa Cattolica
Quia mundi quae nunc partes sunt aliquando unitas fuit
Durante l’ultima Via Crucis celebrata al Colosseo si è sentito il Pater Noster.
Il Padre Nostro in latino.
Dal significato comprensibile ascoltandone la recita, o leggendone il testo a fronte nelle varie lingue nazionali.
Il Pater Noster che, mentre le varie nazioni lo intendono direttamente o traducono, l’intero Pianeta lo ascolta però in una lingua sola.
Questo inserimento della lingua latina nella celebrazione della Via Crucis non sarebbe male che venisse replicato in tutte le cerimonie della Chiesa Cattolica.
Visto che i cristiani nel mondo vengono massacrati tra l’indifferenza delle nazioni militarmente più potenti e delle organizzazioni internazionali, è tempo che la Chiesa cattolica provveda da sé a difendersi “armandosi” almeno con l’unità della lingua. Ed è opportuno che lo “Stato Maggiore della Difesa” venga confermato a Roma, ritornando ad un più diffuso uso della lingua che a suo tempo tenne unita la più parte del pianeta civile, e poi del pianeta cristiano.
Il latino è la lingua dei cristiani morti? A maggior ragione è bene che i cristiani vivi non la ignorino del tutto, così da non perdere il collegamento con gli antenati.
Per esempio, le centinaia di migliaia di cristiani armeni morti ammazzati nella prima metà del secolo scorso hanno forse usato proprio il latino per rivolgersi a Francesco Primo, chiedendogli di ricordarli ai cristiani vivi e alle nazioni che negano il loro genocidio.
Di certo, della loro Via Crucis non gli hanno parlato in turco.
Claudio Susmel
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Chi ci ascolterà?
Gianna
W FIUME