Revisione del Trattato di Pace del 1947/6

Modifica per tappe degli attuali confini politici
Phaleratis dictis Italiam semel duxerunt

Avanzate e ritirate
Il 28 luglio del 1921, il generale Caviglia commenta in senato il trattato di Rapallo e parla dell’avanzata degli slavi: “Tutta la storia moderna segnala un forte movimento di espansione della razza slava in tutte le direzioni … Verso occidente i suoi elementi … penetrano nei confini delle varie nazionalità vicine e vi sostituiscono le popolazioni. Essi non portano civiltà, ma assorbono la civiltà dei popoli che vanno a sostituire, cambiano nome ai paesi … l’Italia dovrà constatare la scomparsa dei nomi italiani dalla riva orientale dell’Adriatico e la sostituzione con nomi slavi … le nostre genti saranno a poco a poco scacciate dalla riva orientale dell’Adriatico …”(1)
Nel 1945 si tiene a Sofia un congresso panslavo, nel quale i rappresentanti della Unione Sovietica, della Jugoslavia e della Bulgaria esaminano “… i problemi e gli interessi dei popoli slavi in vista del futuro assetto dell’Europa in conseguenza della prevista sconfitta della Germania” (2); ed ecco l’Unione Sovietica proporre alla fine della Seconda Guerra Mondiale il confine orientale peggiore per l’Italia tra quelli proposti da Alleati e Associati, a tutto vantaggio degli slavi del sud, della Jugoslavia.

Alla “avanzata” orientale ricordata dal generale Caviglia ed alla unità d’intenti ricercata dai popoli slavi, restata per altro ondivaga nei Balcani, va aggiunta l’avanzata occidentale dei francesi che, predicando a seconda delle circostanze “liberté” “egalité” o “fraternité”, hanno finito col valicare in più punti il displuvio delle Alpi in direzione est. Il vessillo con la scritta “Egalité” potrebbero spudoratamente issarlo sul valico del Monginevro, con il suo spartiacque già interamente entro i confini francesi prima della Seconda Guerra Mondiale, confini che ciò nonostante col TP47 furono ulteriormente spostati a est del Valico. Il vessillo con la scritta “Fraternité” potrebbero spudoratamente issarlo sul ripiano del Moncenisio con il suo lago omonimo, così da chiarire che l’appropriazione indebita di territorio geograficamente italiano è lecita quando si tratti di togliere l’acqua all’Italia, cioè il bene più prezioso per i fratelli. Il vessillo con la scritta “Liberté” non è invece al momento disponibile, perché quale ignobile Excalibur è ancora piantato sulle banchine di quelle stazioni del territorio di Vichy da dove partivano i treni delle ferrovie francesi, carichi di ebrei destinati allo sterminio nei campi di concentramento tedeschi.

Senza grandi fragori bellici ma con ininterrotta secolare industriosa politica dei piccoli passi, sono avanzati anche gli svizzeri, arrivando a meno di cinquanta chilometri da Milano; hanno rosicchiato territorio a sud del displuvio alpino, pezzetto dopo pezzetto. È evidente che l’abilità dei confederati nel produrre pregiati formaggi li ha costretti a studiare il comportamento dei pericolosi nemici del loro prodotto interno lordo: i topi, per meglio difendersene, e così devono aver finito per assimilare le loro tecniche di combattimento; eccoli dunque che con occhiuta cronometrica attenzione alle circostanze e ai tempi, avendo osservato che i confederati quadrupedi, rosicchiando qua e rosicchiando là, riuscivano a diminuire la forma dei manufatti caseari a vantaggio del proprio indebito nutrimento gastronomico, i confederati bipedi hanno cominciato anche loro a rosicchiare la forma dei territori altrui, modificandola a tutto vantaggio del proprio altrettanto indebito arricchimento territoriale.

All’indebita sottrazione di territorio da parte di una nazione straniera nei confronti della nostra nazione, si può e si deve porre rimedio come all’indebita sottrazione di beni da parte di un singolo cittadino straniero nei confronti di un singolo cittadino italiano.
Perciò, così come al cittadino straniero debitore che non possa restituire in un’unica soluzione a un cittadino italiano quanto indebitamente sottrattogli, gli si concede una dilazione dei tempi per procedere alla restituzione integrale, allo stesso modo alla nazione straniera debitrice di territorio naturale indebitamente sottratto all’Italia si deve concedere una dilazione dei tempi per procedere alla restituzione integrale di quel territorio.
In queste pagine si esaminerà la restituzione di una prima parte di territorio nazionale indebitamente sottratto all’Italia.

Una transazione confinaria mancata
Una transazione confinaria mancata perché tardiva, fu quella che si svolse (dopo la dichiarazione di guerra dell’Austria – Ungheria alla Serbia), tra Austria – Ungheria e Italia, negli anni 1914 e 1915.
Si ricordino a questo proposito le offerte territoriali fatte all’Italia dall’Austria – Ungheria, specie  nel maggio del 1915, perché non entrasse in guerra. La mossa diplomatica ebbe i suoi sostenitori, anche se era una mossa tardiva visto che l’Italia sarebbe entrata in guerra il 24 maggio di quell’anno, avendo stipulato il 26 aprile con Francia Inghilterra e Russia quel Patto di Londra che la obbligava a entrare in guerra entro il maggio seguente. Il che prova, ancora una volta, quanto la strategia della prevenzione tramite un accordo di revisione dei trattati sia ritenuta proficua, e fa supporre che per l’Austria – Ungheria lo sarebbe stata forse in misura determinante per la sua sopravvivenza come entità multi statuale, se l’avesse anticipata alla stipula del Patto di Londra, avendo tenuto ben presente che un accordo tra due parti non deve mai dimenticare il terzo, o meglio i terzi. Ecco invece che le osservazioni di Franco Bandini : “… l’Austria non pareva incline ad offrire che il Trentino (e non tutto), con qualche miglioramento a Trieste: mentre invece la Francia e l’Inghilterra dimostravano di largheggiare, soprattutto su cose e territori non loro.”(3), ci offrono uno squarcio illuminante sulla miopia di uno stato grande e potente, che non solo aspetta l’ultimo minuto per concedere qualcosa – per di più di geograficamente non suo – ma su quel qualcosa temporeggia pur trovandosi sull’orlo del baratro, aumentando così di molto il  rischio per la propria esistenza.
Si aggiunga per inciso, con riferimento alla seconda parte del periodo di Bandini succitato, che le promesse degli Alleati non solo furono fatte su territori altrui – non venne proposta alcuna revisione confinaria che riguardasse la Corsica e l’arco alpino occidentale sotto sovranità francese o le Isole maltesi sotto sovranità britannica – ma pure, a guerra vinta, seppur non rinnegate, quelle offerte, divenute clausole contrattuali, gli Alleati non le difesero certo a spada tratta dall’ineguale egualitarismo in materia di confini etnici propugnato dal presidente statunitense Wilson. Quel Wilson che irrorava instancabilmente con i suoi velleitari sermoni pacifisti i ben più pratici ed esperti padiglioni europei della Conferenza della Pace. La promessa all’Italia di territori in mano altrui fatta dagli occidentali nel primo anteguerra si ripeterà nel secondo dopoguerra con la dichiarazione tripartita del 20 marzo del 1948: poco prima delle elezioni politiche italiane, Stati Uniti Gran Bretagna e Francia si impegnarono per la restituzione dell’intero Territorio Libero di Trieste all’Italia. A questo proposito si legga ancora Sara Lorenzini: “Nenni annotò al riguardo che essi regalavano ciò di cui non potevano disporre, ma si tenevano stretto quello che avevano veramente, cioè Briga, Tenda e le colonie.”(4)
Si annoti in volata che gli Stati Uniti non tenevano nulla di tutto ciò, che la Gran Bretagna avrebbe amministrato per alcuni anni territori coloniali italiani, ma che solo la Francia tra le potenze occidentali avrebbe amputato il territorio naturale italiano, annettendosi Briga, Tenda, ulteriore territorio a est dello spartiacque alpino coincidente col Passo del Monginevro, il Monte Chaberton, il Monte Tabor e il ripiano del Moncenisio. Le ignobili correzioni, perché geograficamente indebite, sul confine alpino occidentale (non quelle riguardanti le ex riserve reali dei Savoia a ovest del Monte Clapier), hanno reso più evidente il problema irredentistico nei confronti della Francia, che già non era cosa da poco in relazione alla sua perdurante occupazione della regione geograficamente italiana della Corsica.

Si legga del tentativo fatto dal Kaiser Guglielmo nella prima metà del maggio 1915, con telegramma diretto al Re Vittorio Emanuele III: “… Je suis sur (^) que le differences qui existent entre l’Autriche – Hongrie et l’Italie peuvent etre (^) aplasie pacifiquement. Mon Gouvernement met tous ses efforts à contribuer à l’amitié entre nos deus Pays si fertile en bienfaits pour l’Italie. Guillaume. (5)
Di estremo interesse il telegramma che Sidney Sonnino invia alle ambasciate italiane all’estero (6), che ripercorre lo stato dei rapporti tra Italia e Austria – Ungheria, denunciando quella che, mutuando i termini dal diritto costituzionale, potremmo definire la costituzione materiale (dunque variabile), che soggiaceva al patto della Triplice Alleanza (codificato e immobile). Vi si rileva, stando all’esposizione del ministro degli esteri italiano, l’acuirsi delle insoddisfazioni italiane man mano che il tempo passava dall’atto della firma di quel Patto (20 maggio 1882), e vi si rileva la particolare sottolineatura del processo di snazionalizzazione dell’identità italiana operato dall’Austria – Ungheria nei territori rivieraschi orientali dell’Adriatico.
Pur immaginando facilmente che in occasione della imminente guerra vengano sottaciuti gli aspetti produttivi che quel patto aveva avuto per l’Italia, è interessante notare la mutevolezza degli stati d’animo dei singoli protagonisti della politica e della situazione politica internazionale con l’evolversi dei tempi, e infine rilevare la consistenza delle richieste italiane di revisione di quel Patto che più da vicino interessano la trattazione di queste pagine: le richieste di revisione di confine; in questo caso di quello con l’Austria – Ungheria. Richieste che – ricordando per il Patto della Triplice Alleanza “… il diritto a compensi fra gli Alleati in caso di occupazioni temporanee o permanenti nella regione dei Balcani” – furono rese esplicite dopo la dichiarazione di guerra dell’Austria – Ungheria alla Serbia: “… dichiarammo che i compensi contemplati sui quali doveva intervenire l’accordo, dovevano riflettere territori trovantisi sotto il dominio attuale dell’Austria –  Ungheria.”
Sonnino sottolinea la lunghezza delle trattative tra Italia e Austria che durarono per mesi: “… e solamente  alla fine di marzo dal barone Burian ci venne offerta una zona di territorio compresa in limiti lievemente a nord della città di Trento … la cessione del territorio nel Trentino non doveva … effettuarsi immediatamente, secondo noi chiedevamo, ma alla fine dell’attuale conflitto … la offerta non poteva soddisfarci … Solo dopo un altro mese di conversazioni, l’Austria – Ungheria si indusse ad aumentare la zona di territorio da cedere nel Trentino … Dall’atteggiamento seguito dall’Austria – Ungheria dai primi di dicembre alla fine di aprile risultava chiaro il suo sforzo di temporeggiare senza venire ad una pratica conclusione”. Colloqui dunque che manifestano chiaramente l’insoddisfazione dell’Italia per lo stato di cose creatosi dopo la dichiarazione di guerra dell’Austria – Ungheria alla Serbia, e che si codificheranno con la stipula del Patto di Londra il 26 aprile 1915 e la denuncia del Trattato della Triplice Alleanza comunicata a Vienna il 4 maggio 1915.
L’11 maggio arrivano le ultime concessioni in materia di revisione confinaria fatte dall’Austria – Ungheria col beneplacito della Germania, ritenute insufficienti, “… offerte che, ad ogni modo, non potevano più essere da noi accolte …”(7) , e in nessun caso immediate, come ancora rileva Sonnino, neppure per il Trentino.
E la differenza tra una acquisizione di territorio immediata e quella ipotizzata alla fine della guerra, bene lo imparammo dalle trattative di Versailles nel primo dopoguerra.

Mentre da quelle di Parigi nel secondo dopoguerra bene imparammo la differenza tra una enunciazione di principi pubblicizzata nel corso di una guerra e l’attuazione degli stessi alla fine della guerra; ricordiamoci in particolare a questo proposito due tra i common principies in the national policies of their respective countries contenuti nella Atlantic Charter, documento sottoscritto dal Presidente degli Stati Uniti Roosevelt e dal Primo Ministro del Regno Unito Churchill il 14 agosto del 1941: 1. Their countries seek no aggrandizement, territorial or other. 2. They desire to see no territorial changes that do not accord with the freely espressed whishes of the peoples concerned. Come si accorda la sottoscrizione di questi principi con le linee di confine proposte da statunitensi e britannici tra l’Italia e la Jugoslavia in Venezia Giulia e Dalmazia alla fine della guerra? Come si accorda la sottoscrizione di questi principi con l’accettazione da parte di Stati Uniti e Regno Unito delle mutilazioni territoriali subite dall’Italia per effetto del TP47, tradottesi in accrescimenti territoriali francesi e jugoslavi?
Evidentemente Stati Uniti e Regno Unito devono aver  tenuto conto che De Gaulle e Tito non avevano firmato la Carta Atlantica.

(1) – Ferdinando Gerra, L’impresa di Fiume, vol. II, pag. 222.
(2) – Michele Scopa, Dizionario dei trattati, pagg. 193,194.
(3) – Franco Bandini,  Il Piave mormorava, pag. 30, Milano, Longanesi, 1965.
(4) – Sara Lorenzini, op. cit. pag. 34.
(5) – Luigi Aldovrandi Marescotti, Nuovi ricordi pag. 223, Milano, Mondadori, 1938.
(6) –  Luigi Aldovrandi Marescotti, op. cit. pagg. 234-244.
(7) – Luigi Aldovrandi Marescotti, op. cit. pag 243.

Claudio Susmel

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