Libia, l’Africa vicina di casa
Remis velisque
Sebbene non forse certo l’intento delle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale firmatarie del TP47, in particolare dei subentranti temporanei occupanti britannici, la perdita della colonia di Libia a seguito del TP47 è da ascriversi senza alcuna ombra di dubbio ai guadagni morali che quel trattato ha portato alla nostra Patria, visto che non è un territorio geograficamente italiano.
In tempi più recenti però la Libia ha voluto, episodicamente, esercitare la propria sovranità oltre che sul suo territorio metropolitano e sulle sue acque territoriali, anche sul Golfo della Sirte. Evidentemente la definizione di Mare Nostrum dato al Mediterraneo dai romani e rispolverato nella prima metà del Novecento da un romagnolo, si presta ad essere rivendicata anche da cittadini mediterranei di etnie diverse da quella italiana. Gli armatori di Mazara del Vallo, la cittadina costiera dell’Arcipelago centrale italiano che ha una flotta peschereccia di rilevanza europea, hanno sperimentato più volte il sequestro delle loro imbarcazioni, e i loro marinai la ruvida ospitalità dei nostri bellicosi frontalieri d’oltremare.
E’ importante sottolineare che l’espulsione dei coloni italiani dai territori sottoposti alla sovranità della Libia, effettuata negli anni Settanta del secolo scorso – equa o iniqua che fosse questa decisione visto il lavoro profuso dai nostri coloni su quelle terre – non debba essere confusa con gli assolutamente illegittimi tentativi di espulsione dei cittadini italiani da quella parte di mare contiguo alle acque territoriali italiane e libiche, di proprietà comune di tutte le nazioni del Pianeta.
Le somme destinate a suo tempo alle Forze Armate al fine di controllare e tenere il territorio coloniale libico furono ingenti, e sprecate perché il fine era illegittimo. Oggi il peccato del Governo italiano è diametralmente opposto: a fronte di un fine legittimo, il controllo delle acque internazionali contigue alle acque territoriali italiane, la Marina miliare italiana non gode ancora di quelle risorse aggiuntive necessarie a potenziarne le risorse, onde tutelare maggiormente il diritto internazionale delle nostre imbarcazioni di guadagnarsi da vivere su un mare indiviso, in acque internazionali insomma. Esigenza militare questa che non è contingente, prescinde cioé dai problemi attuali dell’immigrazione selvaggia o del terrorismo internazionale e necessita quindi di stanziamenti economici permanenti e di progetti dal respiro non corto.
Questo mare indiviso deve essere tutelato dalle nostre Forze Armate più dei confini del Libano?, più dei territori dell’Afghanistan? Certamente prima.
Ampliamo per un momento il discorso.
Assicurando il rispetto delle leggi internazionali nel Mediterraneo centrale – che bagna le attualmente non ancora pacificate coste libiche – ci ricollegheremmo a quella politica di contenimento della “esuberanza” (dalle leggi) del dittatore libico Gheddafi effettuata in passato che era riuscita ad agganciarlo a un modus vivendi almeno parzialmente rispettoso delle norme internazionali; risultato da ascriversi ai successi della diplomazia italiana di fine Novecento.
Diplomazia italiana che con la sua pazienza operosa ha forse ottenuto a suo tempo più dei bombardamenti statunitensi sul territorio nazionale libico, certamente più del recente interventismo anglo – francese con contorno propagandistico francese al limite del macchiettistico.
Un risultato positivo quello della diplomazia italiana replicabile in altre parti del Pianeta, se si seguisse una linea politica internazionale che non tenesse conto solo degli armamenti in dotazione a una nazione per stabilirne la capacità e il peso decisionali nel consesso internazionale, ma anche della sua esperienza plurimillenaria, che riemerge carsicamente perfino in quei periodi storici in cui quella nazione non esprime guide politiche di grande levatura.
Tornando al Mediterraneo, si può rilevare per il momento che il conflitto di interessi italo britannico, persistente tra le due guerre mondiali, si sia affievolito a favore di una collaborazione di fatto italo (euro) – statunitense; il che da un punto di vista politico e militare ha la sua ragion d’essere, visto il posizionamento geografico dell’Italia nel Mare dei Tre Continenti e la potenza militare ed economica degli Stati Uniti nel Pianeta.
Accettare questo dato di fatto da entrambe le nazioni è realismo politico, essenziale in questo gennaio 2015 che vede l’Isis incunearsi tra Tripolitania e Cirenaica secondo la più classica delle tecniche aikidoistiche.
Realismo politico, che se non ha portato – fino ad oggi – alla revisione di alcuna clausola del TP47, aiuta però ad individuare il percorso per farlo, al fine di rimuovere le cause di un certo tepore nel sostenere l’alleanza transatlantica da parte dei cittadini italiani innamorati della propria Patria.
Cittadini italiani innamorati della propria Patria?
Esistono, esistono, sono molti di più dei bercianti piazzaioli nichilisti della domenica e costituiscono quel fronte interno indispensabile anche per qualsiasi alleato, per forte che sia.
Sempre che voglia vincere realmente e con effetti duraturi le proprie battaglie.
Claudio Susmel
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