Andare in Africa per fermare Ebola e le bandiere nere dell’Isis che si avvicinano all’Europa

Il coordinamento italiano per la ricostruzione della Libia

La Libia, già seriamente danneggiata dai bombardamenti euro statunitensi diretti contro Gheddafi, e dalle sue tante guerre civili, con il suo sole ora sinistramente oscurato da qualche nera bandiera dell’Isis, rischia di non esistere più nella sua attuale conformazione statuale.
L’Italia, di concerto con le altre nazioni europee e degli Stati Uniti, inquadrate tutte nella N.A.T.O., può provare ad impedirlo.

Abbiamo già ampiamente assorbito i veleni trasudanti da questa nazione ferita mortalmente dalla sua stessa stoltezza politica e da quella transatlantica: un’immigrazione fuori controllo, un approvvigionamento di petrolio e di gas diminuito e reso insicuro, commesse imprenditoriali a rischio. Nessuna delle nazioni europee che hanno chiesto a gran voce i bombardamenti contro Gheddafi per proteggere e stimolare una presunta “Primavera araba” paga per l’errore commesso; si spera almeno che non gli sia concesso di ripeterlo.
Per l’urgenza dei problemi che la toccano da vicino e per la storia delle sue relazioni con la Libia, è forse arrivato il momento per l’Italia di provare a ricostruirla senza respingere ma senza attendere il concorso, subordinato al proprio coordinamento, di tutte le altre nazioni europee. Può provarci, magari con la copertura della flotta statunitense (& c.) di vedetta al limite delle acque territoriali libiche, che controlli mare e cieli impedendo a qualche altro tragico pagliaccio di distruggere quel che resta della nazione africana.
Ricostruiamo, magari ricominciando dalle infrastrutture vicine ai pozzi di petrolio, e dalle aziende petrolifere e no, garantendone la funzionalità e l’elargizione dei relativi dividendi alla Libia e alle altre nazioni creditrici e/o azioniste. Qualche nostro concittadino la cui famiglia sia stata in passato legata in qualche modo al mondo agricolo libico, potrebbe occuparsi di qualche azienda del settore particolarmente compromessa dalle guerre passate e in corso. Senza che lo si illuda però con promesse di ripristino di proprietà perdute dai nostri ex coloni, ma trattando con il Governo libico per concessioni ultradecennali di terreni che ritenga disponibili. Si potrebbero approntare dei presidi sanitari dove verrebbero convogliate le migliaia  di profughi diretti verso le coste libiche e pronti a imbarcarsi per l’Europa; i medici italiani, libici e di altre nazioni li metterebbero in quarantena, tutelando così la salute del popolo libico e limitando fortemente il rischio di contagio da Ebola e da altri virus per i cittadini d’Europa e del Pianeta intero. Con questi interventi mirati e circoscritti sarebbe assicurata ai cittadini libici la piena sovranità sul loro territorio nazionale e la proprietà delle loro aziende e dei loro terreni privati, non alienati ma dati in concessione per riaverli domani più ricchi e produttivi di quanto non siano oggi, e verrebbe aumentata notevolmente l’aspettativa di vita del suo popolo.
La protezione di questi territori? Visto che abbiamo addestrato migliaia di soldati stranieri nei più remoti angoli del Pianeta con risultati economico politici dubbi se non negativi, perché non formarne alcuni  reparti vicino a casa nostra, che aumentino la nostra sicurezza nazionale (italiana), federale (europea), e transatlantica (statunitense)? Soldati libici che agiscano addestrati in una o più basi a comando italiano, anch’esse stabilite per una durata concordata col governo libico. Con la garanzia politica suggellata da accordi scritti che basi, terreni e infrastrutture debbano essere considerati territori inviolabili, internazionalmente garantiti, e neutrali tra le guerre civili libiche; vere e proprie cassette di sicurezza che custodiscano benessere e ricchezza economica del popolo libico, sottoposti al fisco del regime politico di volta in volta in carica nella loro nazione.
Un lavoro ben programmato e organizzato è infine probabile che induca la Libia a iscrivere nel suo bilancio statale le risorse per concorrere a pagare le spese delle basi a comando italiano e il carburante delle navi statunitensi (& c.).

In ogni caso, il vento che gonfia le nere bandiere dell’Isil urla per il Mediterraneo che è tempo ormai per gli europei e gli americani di dare al non intervento in Libia il nome che merita: diserzione.

Claudio Susmel

Pubblicato sul bimestrale “L’Alpin de Treste” n. 179.

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