2 giugno 1946

Edmondo tra monarchia e repubblica

Il 2 giugno di ogni anno, Edmondo, alto un pollice e mezzo, si rimpicciolisce ulteriormente per via della depressione che l’infausta data gli causa ricordandogli la proclamazione della Repubblica Italiana e l’archiviazione della sua amata Monarchia.

Edmondo legge molti libri di storia e geografia, anche se quelli privi della rilegatura in pelle con fregi dorati, un po’ lo infastidiscono.
Edmondo ama spesso ripetere questa frase: “Si ricordi egregio signore, che la storia finirà per ubbidire alla geografia, purché naturalmente si abbia la pazienza e la determinazione di un Re”.
“Emanuele Filiberto di Savoia è ancora all’antipasto nell’apprendistato di questa professione”.
“Se ella, con dubbio senso dell’umorismo, intende alludere all’episodio detto di Saclà, alla pubblicità cioè che il Principe ha fatto a suo tempo al noto marchio industriale, farebbe bene a riflettere su tanti episodi di gioventù riguardanti anche i borghesi. Ella noterà allora che il Quo Vadis?, e cioè l’interrogarsi sugli scopi profondi della vita, è arrivato per molti spensierati giovin signori in età matura”.
“D’accordo Edmondo, ma non tutti i giovin signori aspirano a diventare re d’Italia”.
“Egregio signore, intanto la prego di notare la estrema inesattezza della sua espressione diventare Re d’Italia: re d’Italia, almeno dal 1861 in qua, si nasce e non si diventa”.
“Questo automatismo non si è interrotto nel 1946?”
“Avrei tanto da dire su quel plebeo, chiassoso e chiacchierato referendum, ma mi limiterò a ricordarle che non è il territorio l’unico elemento che conferisce la regalità; pensi a Umberto, che per quarant’anni è restato Re nella mente di milioni di italiani grazie alla sua condotta impeccabile tenuta durante il suo esilio in Portogallo”.
“Risultata impeccabile forse  anche perché lui gli antipasti li ha saltati.”
“Lei sta diventando stucchevole con questa sua scipita e ripetitiva battuta”.
“Edmondo, non voglio offendere il tuo senso della tradizione, ma solo ricordarti che anche quella di una famiglia si forma con una sequenza di atti e comportamenti quotidiani protratti nel tempo dalla più parte dei suoi componenti, atti che, se corretti, dignitosi e prestigiosi, talvolta possono anche conquistare a quella famiglia l’investitura monarchica”.
“Dunque vede!”
“Dunque dico a te, nostalgico gonfaloniere dei Savoia, che non so di Province irredente conquistate all’Italia dagli ultimi due pretendenti al trono, né di loro scoperte nel campo della scienza, né di volontariato portato avanti fino alla consunzione del loro corpo, né di altre imprese particolarmente nobili portate a termine per la gloria ed il buon nome dell’Italia, che io amo quanto tu la ami e che quindi voglio guidata dai più meritevoli individui, giovani o vecchi, araldicamente rilevanti o implumi finanche dei più lievi rami della gloria patrizia”.
“Sarà, ma il suo raziocinio è privo di quell’entusiasmo necessario alla causa monarchica, e comunque le ricordo che è stato un Re e non un Presidente a portare il confine d’Italia al Brennero”.

Così ha replicato Edmondo, nato da una goccia d’inchiostro della mia stilografica, e ha ripreso a passare in rivista i libri di storia lungo gli scaffali della mia libreria, mentre gli otto bottoni dorati della sua giacca di panno azzurro alla marinara brillavano all’eterno sole della comune Patria.

 Claudio Susmel

Ai confini della realtà

“Il Re”

Umberto, alto e magro, era soprannominato “Il Re”.

A  Torino,  sotto  un  soffitto  dorato  della  città  ottocentesca,  sta  servendo  una  coppa  di champagne ad una signora elegantissima nel suo abito senza fronzoli e senza gioielli. Brusio intorno. Un’abat-jour verde, poggiata su un pianoforte che suona, diffonde una luce tenue.  La crepe calda mi arriva davanti.
Con la sua giacca bianca, dopo essersi  tolto i guanti, Umberto aggiunge  un ciocco di legna al  fuoco  del caminetto.
Si  avvicina  ai  molti  borghesi  che  lo  circondano. Ordinano.  Lui serve,  senza correre  ma senza fermarsi mai.  Ora parla  in  francese  con un generale dalla divisa elegante, che sta millantando meriti bellici improbabilissimi.
Fuori il campanello di un tram prima di una curva. Comincia a nevicare.
Attraverso  la  vetrata  istoriata con le ondulate chiome di alte signore  liberty, vedo correre uno scolaretto e sento il padre che lo chiama: “Enrico, Enrico”.
Per   paura  di  vedere  qualche  altro  personaggio  del  libro  “Cuore”,  Franti  o  Garrone,  mi alzo e mi allontano da quel caffè nato tanti anni fa nella capitale del Regno di  Sardegna.
All’interno del bar ormai distante, l’alto magro educato cameriere col nome ed il sorriso del Re di Maggio,  continua a  servire  senza mai un lamento, per pagare forse le colpe di chissà quale padre così distratto o incapace da privarlo di opportunità di lavoro migliori.

Mi  tolgo il cappello che non ho e lo saluto: Viva il “Re”.

Claudio Susmel





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