Il Ministro degli Interni, il Frontex e il Servizio Obbligatorio Nazionale

Dall’Africa in arrivo
centinaia di migliaia di emigranti

Il ministro degli Interni Alfano dà l’allarme, avendo avvistato nel nord dell’Africa centinaia di migliaia di emigranti pronti a sbarcare sulle coste italiane, e chiede aiuto all’Europa per la difesa delle comuni frontiere, suggerendo di potenziare Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea.
In attesa che sul fronte esterno la proverbiale solidarietà verso l’Italia degli altri Stati europei si concretizzi con la sua altrettanto proverbiale velocità, si potrebbe cominciare da soli a fare qualcosa in più sul fronte interno.

Si afferma da più parti che gli immigrati arrivano in Italia per  fare i lavori che gli italiani non vogliono fare, quelli più duri; o perlomeno non volevano fare, visto che la crisi attuale ha limato con l’accetta le ambizioni dei più.
Il problema dei lavori pesanti o comunque poco appetibili ma indispensabili per la comunità nazionale può essere risolto istituendo un Servizio Obbligatorio Nazionale; dodici mesi all’anno – otto? – con le stellette dell’Esercito ma senza l’abilitazione ad usare le armi.  Tra una mungitura di mucca e una sfornata di pane, tra una ripulitura di fogne e un servizio da badante, i corsi di italiano e quelli professionali preparerebbero gli infra ventenni al mondo del lavoro meglio di quanto non faccia oggi la strada, spesso allagata da un fiume di droghe.
Le caserme per accogliere i presumibilmente riottosi soldati del S.O.N. non mancano, basta non dismetterle per quattro soldi, come forse si sta per fare (1).

Avviato a risoluzione il problema dei lavori poco appetibili ma indispensabili per la comunità nazionale, il desiderio degli emigranti provenienti dall’Africa di sbarcare in Italia dipenderebbe ancora dalle opportunità offerte da una rotta per l’Europa più breve rispetto ad altre – non rispetto a Gibilterra e alla Spagna –  ma non più da opportunità di lavoro che risulterebbero più facilmente reperibili in altre nazioni europee.
Considerazione questa che suggerirebbe di dislocare i centri raccolta degli immigrati vicino ai nostri confini alpini, così da facilitare il loro smistamento verso nazioni più ricche della nostra.
Cui andrebbe tutta la nostra solidarietà.                                              

                                                                                                       Claudio Susmel

(1) Chi scrive ha già dato: XII ’76 (Orvieto, Aurelia, Capo Teulada).

Russia e Ucraina in una guerra meno sanguinosa di altre

La Crimea e il “Paragrafo 5”

Ipotizzare la regolamentazione di una guerra dichiarata per una controversia confinaria, costituisce un obiettivo ambizioso, da attuarsi con estrema prudenza.
Opportuno fissare pochi ma precisi paragrafi operativi.
Il più importante consiste nel chiedere a sé stessi e alle controparti il rispetto di quello che possiamo chiamare “Paragrafo 5”: non uccidere.
Visti i precedenti storici, noi italiani, e in particolare i giuliano dalmati profughi dopo la Seconda Guerra Mondiale da Istria, Fiume e Dalmazia per evitare una morte violenta, è probabile riteniamo questo paragrafo di non facile applicabilità se non impossibile da realizzarsi.
Eppure di recente ci si è andati molto vicini, anche se non a casa nostra.

La Russia ha invaso la Crimea.
Non entriamo nel merito delle aspirazioni russe al riacquisto della penisola di Crimea che, nell’ambito della comunità statuale dell’Unione Sovietica, venne staccata negli anni Cinquanta del secolo scorso dalla Russia, per essere annessa all’Ucraina. Ci limitiamo a registrare la preoccupazione costante della prima di non usare le armi durante l’invasione se non in funzione dissuasiva, insomma senza sparare; pare ci sia stato un morto, ma non è ancora chiaro se davvero per opera dei militari russi (con o senza mostrine visibili), o di altri.

A giudicare dai titoli di giornale sembra che mezzo mondo reclami per l’invasione del suolo ucraino (già russo sovietico) da parte dei mezzi corazzati dell’esercito russo, e per il referendum tenuto nella Crimea occupata dai russi risultato favorevole alla secessione della penisola dall’Ucraina ed alla sua annessione alla Russia.
Chissà se l’altra metà, cui i mezzi di comunicazione non hanno dato forse altrettanto spazio, non si stia invece rasserenando perché si è resa conto della preoccupazione dell’ orso russo – temutissimo dagli europei centro orientali soprattutto – di non trasformare in un cimitero l’Ucraina, come nel secolo scorso l’orso sovietico suo avo aveva fatto di parte della Polonia, della Germania Est, dell’Ungheria e della Cecoslovacchia.
Questa metà del mondo più silenziosa rispetto all’altra, preferisce forse rendere alla Russia l’omaggio di quel comportamento prudente che si deve tenere nei confronti di una potenza euroasiatica.
Magari con un po’ di torcicollo per non essere costretta a giudicare tutte le sue azioni secondo il diritto internazionale.
Ma anche con sufficiente buon senso per guardare un atlante e rendersi conto che lo smisurato territorio della Russia – se non altro – impedisce di definirla una potenza regionale.

                                                                   Claudio Susmel

Spese militari grandi e piccole

Gli F-35
e il grigioverde di Guareschi

L’inserimento dell’acquisto dei nuovi aerei da combattimento F-35 nel bilancio della Difesa, viene discusso in continuazione con riferimento al numero e ai tempi.
Si leggono e si ascoltano osservazioni da più parti circa il costo unitario di ciascun velivolo e la dipendenza dagli Stati Uniti d’America per certa tecnologia dei velivoli.

Parecchi decenni fa Giovannino Guareschi propose di inserire un’altra spesa nel bilancio della Difesa: la sostituzione delle divise color kaki con le divise color grigioverde.
Lo scrittore italiano allora più letto al mondo scriveva che (1) “… avevamo raccattato le brache e i giubbetti usati che gli altri hanno gettato alla nostra miseria sbrindellata … Abbiamo visto tanti prigionieri ritornare vestiti in kaki, che il kaki è diventato per molti il color prigionia. E’ sempre meglio il color Vittorio Veneto …” Per l’Internato Militare Italiano reduce dai lager nazisti – dopo l’annuncio dell’8 settembre aveva rifiutato di arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana – il kaki era il colore della sconfitta, mentre il grigioverde era il colore della vittoria.
Il papà di Don Camillo e Peppone non attribuiva a una parte degli italiani piuttosto che a un’altra la sconfitta subita nella Seconda Guerra Mondiale, sanzionata con il Patto d’Armistizio firmato con gli Alleati il 3 settembre 1943 a Cassibile e poi con il Trattato di Pace del 1947 impostoci dagli stessi Alleati diventati nostri cobelligeranti. La accettava, ma reagendo a quella sudditanza psicologica nei confronti dei vincitori che anche il colore delle divise indossate dai soldati della propria nazione può continuare a diffondere.

L’investimento relativo alle divise di color grigioverde e quello relativo all’acquisto degli F-35 non sono comparabili in alcun modo, ma il secondo dipende forse in una qualche misura dal primo.
Perché il grigioverde richiamerebbe con enorme più forza agli occhi ed alla mente degli italiani il concetto di indipendenza della nostra nazione e i sacrifici fatti dalle Forze Armate per ottenerla. Questa aumentata percezione della propria indipendenza confermerebbe l’Italia nella propria scelta di campo – anche se insieme a potenze con una capacità operativa militare e politica ben più alta della nostra e quindi in grado condizionarci in una qualche misura – perchè la rafforzerebbe nella sensazione di essere un’alleata e non la perenne ex cobelligerante a sovranità limitata.
E proprio la coscienza di questa dignità faticosamente ma ulteriormente ritrovata anche sul piano formale e la consapevolezza dell’importanza delle Forze Armate per conservarla, lungi dal pregiudicare l’acquisto di un certo numero di F-35, o di altri sistemi d’arma, al contrario lo giustificherebbe.
Un acquisto proporzionato all’assunzione delle nostre corresponsabilità in ambito internazionale, purché non pregiudicante la stabilità economica e politica della nostra nazione, più volte provocata in passato da impegni militari sproporzionati, quando non velleitari, rispetto alle nostre capacità economiche.

(1) Giovannino Guareschi, Corrierino delle famiglie, Milano 1963, Rizzoli)

Claudio Susmel