Angela Merkel e il colonnello Kurtz

Il Cancelliere vuol far vincere alla sua Germania
una guerra intera
Arminia

15 settembre 2020

Tante Angela ha posto fine al comando del colonnello Kurtz.
Propugnando per la sua amata Germania un posizionamento in Europa non uber alles ma prima inter pares.
Ha evitato alla Germania di commettere il terzo errore di fila negli ultimi cento anni, seguendo l’austriaco Kurz nella sua politica europea.

Sono noti i tentativi fatti dalla Germania nel 1914 per appianare le divergenze, soprattutto territoriali, tra gli altri due alleati della Triplice Alleanza: Italia e Austro – Ungheria; tentativi falliti soprattutto per l’ostinazione frugale dell’Austria – Ungheria nel non voler variare se non in misura infinitesimale l’equilibrio europeo del tempo, contribuendo così a condurre la Germania all’epilogo disastroso della Prima Guerra Mondiale.
Fu un austriaco, Hitler, che acquisita la cittadinanza tedesca condusse la Germania verso il disastro della Seconda Guerra Mondiale.
E’ stato recentemente ancora un austriaco, Kurz,, cancelliere di un’Austria parte non secondaria dell’alleanza tra paesi frustrati che si autodefiniscono frugali, a tentare di bloccare la solidarietà europea verso le nazioni sue componenti più colpite da Covid – 19.

Tante Angela ha detto no alla pericolosa seducente attrattiva di guidare un manipolo di miopi osservatori della attuale realtà europea, alla tentazione di essere di nuovo uber alles.
Ha deciso di porre fine al comando del colonnello Kurtz.
Il colonnello Kurtz, quel personaggio del film Apocalipse Now che si isola dal resto del suo mondo, e domina gli altri col terrore e vi riesce fino a quando le gerarchie militari della sua nazione non pronunciano la famosa frase: “E’ tempo di porre fine al suo comando”.
Certo il patinato pettinatissimo cancelliere austriaco Kurz non ha nulla a che spartire con orrori e delitti dei suoi predecessori, e del quasi omonimo personaggio – gli manca una t – , ma la sua attività di con guida dei frustrati frugali avrebbe potuto trascinare il grande protagonista della vita economica europea, la Germania, ad una avarizia che avrebbe causato un’ecatombe biologico economica fra le nazioni europee più disastrate dalla pandemia planetaria Covid – 19, e per quanto riguarda l’Italia anche dalla pandemia nazionale dei bonus – marchette elettorali.
Tante Angela ha detto però no.
Conducendo la Germania a vincere la sua Terza Tentazione Mondiale.
Per ora.
Auguriamoci che perseveri avendo inteso di vincere finalmente una intera guerra intrapresa e non soltanto una sua pur importantissima battaglia iniziale.

Restando mutti (mamma) Angela per la sua amatissima madrepatria nazionale Germania, e tante (zia) Angela per la nostra indifferibile Federazione Europea.

 “Servizio obbligatorio di leva civile in Italia”   Claudio Susmel

Il Trattato di Rapallo istituzionalizza lo Stato libero di Fiume
confinante con l’Italia
1920 – 2020
Memoria Patriae prima vis

La guerra a Fiume dopo il 3 settembre 1943

Nel nuovo numero della rivista “FIUME”
Terra Fluminis Sancti Viti Italiam rediveris 

8 settembre 2020

Il nuovo numero della rivista “FIUME” propone articoli di  Simone Conversi, Riccardo Gigante, Marino Micich, Simona Nicolosi,  Federico Lorenzo Ramaioli, Fabrizio Rudi,  Diego Zande,l che scrivono del Carnaro, di Fiume, di Pola, e di Zara.
Avendo scelto di recensire le 38 pagine della seconda parte dell’impegnativo saggio di Marino Micich La Seconda Guerra Mondiale a Fiume e dintorni, si ritiene opportuno impaginare di seguito a questo articolo la recensione del numero precedente della rivista “FIUME” contenente la prima parte del saggio, per una lettura completa di quanto già pubblicato.
Non si ripetono notizie e osservazioni comuni ad entrambi i numeri della rivista.

***

Aussendienstelle, AVNOJ, Battaglione Fiumano, Battaglione “Antonio Gramsci”, Brigate Nere, Camice nere, “Carnaro”, CCIV Comando militare regionale di Trieste, CLN, CLN fiumano, CLNAI, CLNJ, Corpo Italiano di Liberazione, EPLJ, FAI, “Fronte Nazionale”, “Garibaldi”, “Garibaldi – Natisone”, “Garibaldi – Trieste”, GNR, “Italia”, Italian pioneers, “Ivan Matesic – Cetina”, IX Corpo d’armata sloveno, Jugoslovenska vojska u otadzbini, “Julia”, Leibstandtarte Adolf Hitler, “liburnici”, MDT, Milizia di Difesa Territoriale, MPLJ, “Murge”, MSVN, MVAC, narodnjaci, Nezavisna Drzava Hrvatska, NOVJ, Odred Rijecki, “Osoppo”, “Osoppo – Friuli”, Osvobodilne Fronta, PCC, PCI, PFR, Polizei Freiwilliger Battallion “Fiume”, Primo Raggruppamento Motorizzato, Prinz Eugen, Prokomorske brigade, “Reparto ortodosso della Lica”, “reparti militari serbo – ortodossi”, Rijecki Odred, RSI, Slav Company, ”Tito”, Todt, “Tone Tomsic”, Ustascia, X Flottiglia Mas,  Wasserschutzpolizei, Wirtschaftpolizei, “zanelliani”.

Per dare un’idea di quanta frammentarietà di posizioni politiche, militari, linguistiche, etniche e istituzionali abbiano operato direttamente o abbiano influenzato l’esito finale della guerra sul versante occidentale delle Alpi Giulie, si sono enumerate le denominazioni riportate nel suo saggio dallo scrupolosissimo Micich (1), che in alcuni casi hanno rappresentato gruppi anche di  solo venti componenti – più che sufficienti comunque per importanti azioni di sabotaggio –  la maggior parte dei quali hanno operato in un territorio non più grande di una attuale Regione italiana di media dimensione.
Molti di questi acronimi di varie nazioni e gruppi politici o militari rappresentarono ben vago e precario controllo dei territori da essi evocati.

Micich scrive che il 15 ottobre 1943 l’Adriatisches Kustenland (comprendente le Province di Fiume oltre che di Gorizia, Lubiana, Pola, Trieste e Udine) aveva ormai a capo il Gauletier  Friederich  Rainer,  che  concentrò nelle sue mani il  potere  civile e militare in
qualità di Supremo Commissario civile, opponendosi  al Movimento Popolare di Liberazione Jugoslavo (MPLJ).
Era contigua all’Adriatisches Kusteland l’altra zona militarizzata denominata Alpenvorland (comprendente le Province di Trento, Bolzano e Belluno).
A parte l’evidente tentativo di preparare il terreno a una futura annessione alla Germania, non mancò neppure il frusto tentativo da parte dell’austriaco Rainer di conferire identità  separata ai friulani così da falsare i dati riferentisi alla Venezia Giulia che vedevano la schiacciante maggioranza italofona.
Leggendo quanto scritto da Micich, che riporta in piena pagina e in nota testi originali e fonti, sarà utile ricordare l’analogo tentativo andato a buon fine da parte dei francesi in Corsica, che si sono guardati bene dal condurre una guerra reale all’insegnamento e alla diffusione del corso in sostituzione di quell’italiano col quale vennero redatti il certificato di Battesimo di Napolione Buonaparte e tanta storia riguardante Pasquale Paoli, e il tentativo andato anch’esso a buon fine nelle Isole Maltesi dove dopo secoli di giornalismo ed altra editoria in italiano gli inglesi si sono adoperati per l’insegnamento del maltese. Friulano , corso, maltese: idiomi minoritari soverchiabili facilmente da tedesco, francese, inglese, in sostituzione della lingua italiana madre della Venezia Giulia, della Corsica, delle Isole Maltesi.

Né si dimentichi per un quadro generale che il 13 ottobre 1943 il Regno d’Italia aveva dichiarato guerra alla Germania, mentre a metà novembre dello stesso anno il PFR (Partito Fascista Repubblicano) aveva congressualmente fissato le linee programmatiche della Repubblica Sociale Italiana: c’era in ogni cittadino italiano, specie di frontiera, di che riflettere sul concetto di Patria, di legittimità, di onore militare.
A una più profonda riflessione su un’Italia Patria plurimillenaria non mancavano  però testi come La Venezia Giulia di Cesare Battisti, che indica chiaramente il displuvio delle Alpi Giulie come confine naturale d’Italia comprendente ovviamente Fiume, che evidentemente non erano stati sostenuti con forza – o colpevolmente ignorati? –  dai politici italiani, così ieri come oggi. 

I rapporti italo – tedeschi nell’Italia centro – settentrionale andarono migliorando dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), ma a Trieste, in Istria e a Fiume continuavano ad essere tesi […] Nel Litorale Adriatico la RSI non poteva esercitare direttamente il diritto di leva (2). Questa ed altre vessazioni finirono per favorire l’afflusso nelle formazioni partigiane anche di militari italiani.

Altre motivazioni, le più varie e su una impalcatura individuale ideale o opportunistica,  determinarono il rafforzamento in armi degli slavi jugo, che miravano ad annettersi migliaia di chilometri quadrati di territorio naturale italiano (a ovest delle Alpi Giulie e delle Alpi Dalmatiche), come da programma dell’AVNOJ (Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia) che … rivendicò anche i territori giuliani e dalmati passati all’Italia con il Trattato di Rapallo del 1920.
Alcuni esempi:
Nel novembre 1943 si formò con il sostegno angloamericano una prima Brigata D’Oltremare jugoslava, costituita da volontari istriani, fiumani e dalmati […] di idee comuniste e di etnia slava.
Nelle Puglie vennero […] istituiti centri medici e presidi ospedalieri per partigiani jugoslavi .
Si formò inoltre un Battaglione “Antonio Gramsci” […] che andò a combattere per l’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo (EPLJ).
Centri di reclutamento a Roma […] a Napoli, a Bari e Santa Maria di Leuca.
Ci furono anche dei battaglioni speciali di sloveni e croati che avevano funzioni di lavoro […] (Slav Company) […] sotto il controllo dell’esercito badogliano […] inglobati poi […] nella Settima armata americana […]
Un altro dato importante […] è la collaborazione con le forze partigiane jugoslave di alcune migliaia di soldati italiani, circa 20.000, che, trovandosi in Jugoslavia, dopo l’8 settembre preferirono combattere contro i tedeschi e gli ustascia piuttosto che essere internati in Germania o nei campi jugoslavi.
Sembra siano sufficienti gli esempi su menzionati per capire come le forze armate slavo  jugo nel 1945 non siano certamente arrivate a Fiume e a Trieste con le sole proprie forze.

Dopo l’annuncio del Patto di armistizio breve firmato a Cassibile il 3 settembre 1943, Micich scrive che non mancarono neppure le adesioni […] dei fiumani italiani alle formazioni militari repubblicane italiane, sottoposte al controllo dei tedeschi, attribuendo queste adesioni a tre motivi principali: il diffuso sentimento antislavo e anticomunista, in parte la continuità  ideale col Fascismo,  e lo effettivo abbandono da parte di Badoglio di quasi tutta la Venezia Giulia nelle mani dei partigiani di Tito e dei loro fiancheggiatori […] e aggiunge che […] l’annessione della città alla Jugoslavia […] era molto temuta dalla maggior parte della popolazione fiumana perché preludeva a nuove violenze e ingiustizie.
Si aggiunga a quanto scritto da Micich, che a Fiume come e più che nelle altre città italiane vi erano dopo la divisione del territorio nazionale tra Regno d’Italia e Repubblica Sociale Italiana famiglie che avevano i figli sotto le armi senza sapere – specie se in zona di guerra – se fossero ancora soldati del Regno d’Italia o della Repubblica Sociale Italiana, se a prescindere dalla loro presenza in questo o quel territorio, fossero simpatizzanti per questa o quella istituzione.

Micich afferma che nel gennaio 1944 ci fu un rafforzamento della presenza di militari italiani al Comando germanico della città di Fiume e cita alcune batterie, uomini della X Flottiglia Mas, la 3° Compagnia di sicurezza del 17° battaglione costiero […] destinata a vigilare sulle opere militari. Scrive di qualche centinaio di Fiumani nella Todt, nella Milizia di Difesa Territoriale, nella Wehrmacht, nel Polizei Freiwilliger Battallion “Fiume” e di Fiumani nel MPLJ (Movimento Popolare di Liberazione Jugoslavo).

Anche tra gli slavi jugo la frammentazione non era poca, si pensi ai cetnici serbi di Draza Mihajlovic, agli ustascia di Ante Pavelic contrapposto ai comunisti (ma non troppo sovietofili) di Tito; quel Pavelic che cercò in ogni caso di ottenere da Hitler l’Istria Orientale, Fiume e Zara, ma senza esito.
Né mancarono […] un migliaio di serbi ortodossi inquadrati, in funzione antipartigiana, nelle unità denominate Milizie Volontarie Anticomuniste (MVAC) [e più specificatamente] nella regione quarnerina […] cetnici serbi in fuga dall’entroterra dalmata, che i tedeschi pensarono bene di utilizzare contro i partigiani definendoli “reparti militari serbo – ortodossi”. Una tale distinzione era necessaria perché i guerriglieri cetnici serbi nel resto
della Jugoslavia, sotto la guida di Draza Mihailovic, erano acerrimi nemici di Hitler sin dallo scoppio della guerra.
Croati, serbi, sloveni, in coatto condominio o a bande sciolte, restarono però e restano sempre slavi jugo e hanno avuto ben prima dell’avvento dei vari Mussolini e Hitler l’obiettivo, talvolta raggiunto, di valicare in direzione ovest le Alpi Giulie. Quando si dimentica questo dato, quando si omette di leggere Kobler, Gigante, e altri storici non solo di storia fiumana, il prezioso elenco di sigle rappresentanti istituzioni associazioni e gruppi vari fornito da Micich perde la sua funzione tattica, utile a spiegare le varie direttive di marcia sul territorio giuliano –  dalmata propugnate negli anni Quaranta dallo slavismo jugo, dal panslavismo a protettorato russo (russo, sovietico, russo), e le aspirazioni a un non ben specificato “spazio vitale” tedesco vecchie di secoli.
Contro queste orde spietate, negli anni dal 1943 al 1947, stette un’Italia divisa in due, odiata dai suoi ex alleati tedeschi, disprezzata dai suoi nuovi alleati britannico statunitensi con codazzo di camerieri vari.
Fiume fu al centro dell’odio, i suoi cittadini rimasti martirizzati nel corpo e quelli esuli martirizzati nell’anima impedirono che fosse al centro del disprezzo.

Divisioni di fatto anche nell’universo del fascismo cittadino, visto che la sezione del PFR fondata a Fiume […] nonostante l’adesione del carismatico Riccardo Gigante e di qualche altra personalità [non avrebbe potuto contare su] alcune importanti figure del fascismo fiumano come Giovanni Host Venturi o Edoardo Susmel (3) [che] avevano preferito da diverso tempo abbandonare la città così come il senatore Icilio Bacci preferì non assumere alcun ruolo di rilievo.
Micich espone poi una serie di iniziative di un gruppo di esponenti fascisti, di costituire nuclei italiani armati a Fiume [tra i quali] il 3° reggimento “Carnaro” della Milizia di Difesa Territoriale (MDT) il cui collegamento con la RSI venne impedito dai tedeschi. Micich tiene a sottolineare che L’operatività delle milizie fasciste in Venezia Giulia disturbava a volte le manovre politiche dei tedeschi con i collaborazionisti sloveni e croati e quindi andava calibrata.

Una lunga particolareggiatissima disamina delle posizioni dei partiti comunisti italiano (con particolare riferimento a Togliatti) sloveno e croato occupa diverse pagine, dalle quali emerge tutta la determinazione slava jugo di annettere quanto più territorio italiano possibile anche a costo di combattere gli stessi comunisti italiani.
Così come emerge la lotta di partigiani italiani comunisti contro altri partigiani italiani.
Leggendo quanto riportato da Micich risulta evidente la sudditanza dei comunisti italiani nei confronti di quelli slavi, che, anche a seguito della lettura di tante altre fonti oltre al saggio in esame, in cima a ogni progetto mettevano la terra da cui avrebbero scacciato gli italiani, per insediarvi la propria gente: ogni ideologia, ogni nazione – Unione Sovietica inclusa – erano accolte come potenziali alleate purché funzionali all’incremento del territorio politico slavo jugo.
Di rilievo una notazione: Dall’analisi della situazione politica generale, estremamente complessa e problematica, appare chiaro che l’attivismo dei gruppi di resistenza antifascista e antinazista a Fiume era destinato a rimanere alquanto limitato. In città non si formarono organizzazioni di carattere resistenziale in grado di esercitare un’autorità politica e militare tale da opporsi ai tedeschi o alle truppe partigiane jugoslave.

Certo le molteplici dichiarazioni di guerra fatte dall’Italia a mezzo mondo negli anni1940 –  1941e la situazione internazionale non favorivano l’azione dei politici italiani volta alla conservazione del confine naturale alpino al cui raggiungimento aveva nel precedente conflitto mondiale contribuito anche il coscritto Togliatti – in divisa grigioverde come Mussolini,  Nenni, Vittorio Emanuele III e tanti altri italiani dalle militanze politiche in tempo di pace le più disparate – pure una qualche lettura in più circa i confini naturali d’Italia avrebbe evitato forse la troppa disinvoltura di Togliatti nel dichiarare che: […] Zara, Fiume, Pola, Gorizia, Trieste. Io non ho mai sostenuto e non sostengo che tutte queste città dovessero venire rivendicate all’Italia. (4)
Così come una qualche inesperienza diplomatica di troppo spinse De Gasperi a chiedere nel suo discorso alla Conferenza della Pace la linea Wilson – quale delle due? – come confine accettabile per l’Italia, rinunciando così in anticipo a mezza Istria Fiume inclusa, a Zara, alle Isole Lagostane, all’Arcipelago di Pelagosa, fidando forse in un’onestà geografica e storica dei vincitori camerieri inclusi, che le loro azioni già analizzabili e gli  avvenimenti seguenti avrebbero dimostrato quasi totalmente inesistente in quasi tutti loro.

Micich cita ancora l’esistenza di un Comitato politico cittadino […] sorto il 28 luglio dopo l’arresto di Mussolini con lo scopo di preservare l’unità e l’italianità di Fiume. Il peso politico del Comitato fu  però assai limitato anche quando si tramutò in CLN fiumano il 7 dicembre 1943.
Scrive poi di un Battaglione Fiumano, in contatto col CLN, che finì per essere  sciolto d’autorità alla fine di maggio 1943 dal comando croato e quasi tutti i combattenti fiumani, piuttosto che entrare a far parte di unità partigiane jugoslave, preferirono rientrare clandestinamente tra Fiume e Abbazia .
Prosegue con lo scrivere che nel gennaio 1944 si sviluppò una FAI (Fiume Autonoma Italiana) grazie a Don Luigi Polano che raccolse […] alcuni membri dell’Azione Cattolica e della Democrazia Cristiana, i cui membri però si limitavano soltanto a raccogliere informazioni sulla situazione politica in città e a difendere l’opzione italiana. Il saggista – che non segue sempre l’ordine cronologico nel descrivere gli avvenimenti – aggiunge che sin dall’estate del 1943, si erano costituiti due gruppi di ispirazione autonomista ben più influenti del FAI:  quello dei “liburnisti” e e quello degli “zanelliani”.
Un cenno a parte merita l’accorato appello di Enrico Burich quando scrive a fine 1943 che  Forse il destino ci chiama a far partire da qui un’altra volta un monito che riecheggi in tutta la Penisola: Si riassume sempre in un solo grido inequivocabile: Viva l’Italia! Possa unire di nuovo le nostre forze e formare un blocco infrangibile.

L’Autore dà notizie circa la divisione nel fascismo fiumano e poi ancora della costituzione a Fiume della polizia, del servizio di sicurezza (Aussendienststelle), della polizia economica (Wirtschaftpolizei) e della Questura fiumana […] i cui agenti erano stati disarmati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943.
Mette in rilievo gli sforzi tedeschi di assicurarsi la collaborazione di italiani e slavi nella zona quarnerina, non ultimo quello fatto con l’introduzione della […] lingua croata nelle scuole e negli uffici amministrativi dei territori controllati dal Commissariato di Sussak – Veglia [centro abitato confinante con Fiume e isola quarnerina annessi nel 1941].

Amarus in fundo viene ricordato che […] dall’ottobre 1943 all’aprile 1945 da Fiume e dintorni furono deportati nei campi di concentramento in Germania ben 412 ebrei […] Il momento culminante della persecuzione antisemita fu l’incendio della sinagoga in via Pomerio, avvenuto il 30 gennaio 1944.

In chiusura di saggio Micich scrive che In Questo clima di gravi incertezze, a Fiume, ultimo lembo d’Italia proteso ad est assieme a Zara in Dalmazia (6), ogni dibattito e progetto politico dipendeva esclusivamente dal responso che sarebbe uscito dai campi di battaglia. […] Fiume si sarebbe trovata alla fine del 1944 praticamente in prima linea e sotto l’assedio delle truppe partigiane jugoslave.

***

Le vicende che portarono all’annessione (di fatto nel 1954) all’Italia della sola Zona A del mai costituito Territorio Libero di Trieste, produssero il conseguente nuovo esodo degli italiani dalla Zona B (la più meridionale).
Sull’esodo Karlsen scrive che  … L’oppressione nazionale, esercitata dai nuovi poteri jugoslavi sulla popolazione italiana e fattore determinante della sua fuga di massa, continuò a essere negata dalla stampa comunista italiana fino all’esclusione della Jugoslavia dal Kominform da parte sovietica … Per il caso di Fiume, le dimensioni dell’esodo di massa che tra il 1945 e il 1948, nelle parole di Raoul Pupo, svuotò “pressoché totalmente la città dai suoi originari abitanti di lingua italiana” (5).

Sarebbe stato ben strano il contrario per una cittadinanza con consuetudini secolari di autonomia pronunciata, conquistata, difesa e garantita nell’ambito dell’Impero austro ungarico prima e evolutasi in sovranità di Stato Libero dopo, sino alla naturale sua identità politica italiana riconosciuta nell’ambito del Regno d’Italia con l’istituzione della Provincia del Carnaro: questi cives mai avrebbero potuto sopportare la sudditanza a una maggioranza croatofona importata, nell’ambito di un potere centralizzato di tipo balcanico totalmente estraneo alla geografia, alla storia, alla cultura di Fiume.

(1) – Non sarebbe attendibile appaiarlo al grandissimo Giovanni Kobler, che con il suo monumentale “Memorie per la storia della liburnica città di Fiume”, Fiume, 1898,  è sempre verde ramificatissima quercia con la quale ogni ricercatore serio di storia fiumana continua a far legna anche solo per capire la storia fiumana contemporanea, ma sia consentito scrivere che ne ha fatto venire in mente la meticolosità nella ricerca del fatto, del nome, del dato.
(2) – Ove non diversamente indicato i corsivi si riferiscono al testo di Micich.
(3) – Laureato in Scienze Morali e Storiche, insegnante, storico, giornalista; collaboratore con testate giornalistiche e case editrici nazionali non solo italiane; cofondatore della rivista “FIUME”.
Cofondatore della “Giovine Fiume”.
Era stato nel 1919 delegato alla propaganda fiumana dal Consiglio Nazionale di Fiume di cui faceva parte, contattando Gabriele D’Annunzio alla Casetta Rossa di Venezia perché liberasse  Fiume dall’occupazione dell’Intesa e dalle mire degli slavi jugo; da D’Annunzio fu riconosciuto non ultimo coprotagonista dell’Impresa di Fiume avendolo nominato Segretario Generale della Reggenza del Carnaro.
Aderì al fascismo, dal quale fu espulso per aver protestato contro la soppressione di alcune rotte navali da e per la Città, fu riammesso, fu Preside della Provincia del Carnaro, dal 1939 al 1943 fu Consigliere Nazionale alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Nel secondo dopoguerra divenuto editore egli stesso curò l’Opera Omnia di Benito Mussolini insieme al figlio Duilio (storico e giornalista).
(4) – Karlsen Patrick, Frontiera rossa pag. 158, LEG, Gorizia, 2010.
(5) – Karlsen Patrick, op. cit. pagg. 184, 185.
(6) – Oltre alle Isole Lagostane e all’Arcipelago di Pelagosa. 

Servizio obbligatorio di leva civile in Italia”   Claudio Susmel

Il Trattato di Rapallo istituzionalizza lo Stato libero di Fiume
confinante con l’Italia
1920 – 2020
Memoria Patriae prima vis 

Il nuovo numero della rivista “FIUME”

La Seconda Guerra Mondiale a Fiume
Terra Fluminis Sancti Viti sicut Phoenix renascerit

31 gennaio 2020

Com’è bella serietà che non si fugge tuttavia.
Puntualmente edito e spedito è arrivato il secondo semestre 2019  della rivista “FIUME”.

Balsamo ristoratore il puntuale arrivo della rivista per le laboriose formiche italiane fastidiosamente assordate dal cicaleggiare di preannunciati programmi politici e culturali d’ogni tipo troppo spesso disattesi.
Ricostituente morale per chi non vuole smettere di combattere per il Secondo Risorgimento Italiano, quello iniziato con i moti del 1953 a Trieste, proseguito col ritorno all’amministrazione italiana nel 1954 della Zona A del mai operante Territorio Libero di Trieste e con la rinnovata piena sovranità sulla stessa per mezzo del Trattato di Osimo del 1975. Secondo Risorgimento che, dopo il grande risultato della, pur incompleta, unità d’Italia ottenuto dal Primo Risorgimento Italiano (1821 – 1924), deve agire per completare l’unità nazionale con i territori geograficamente italiani non ancora annessi politicamente.
Trasfusione di dati specifici per tutti gli operatori culturali che si occupano delle vicende dei nostri confini nazionali, perché scava nella storia e nella cronaca di Fiume e della restante costa orientale adriatica affinché non venga dimenticata l’italianità di quelle nostre terre.
“Compenso” promesso e puntualmente mantenuto per il lavoro di ricerca e scrittura dei suoi collaboratori.

La rivista fu fondata nel 1923 (1) ed è oggi diretta da Amleto Ballarini.
Questo numero di 159  pagine ordinatamente impaginate su carta patinata – il direttore editoriale è Giovanni Stelli – propone articoli di Paolo Anelli, Renato Atzeri, Claudio Finzi, Silvia Luscia, Marco Martin, Marino Micich, che scrivono di Cherso, Fiume, Spalato e d’altro ancora.

Da pag.  27 a pag. 54 una prima puntata del saggio “La Seconda Guerra Mondiale a Fiume e dintorni, di Marino Micich (2).
Il saggista onora la propria onestà intellettuale riconoscendo sin dalla premessa il suo debito per la ricerca storica fatta a suo tempo da Amleto Ballarini e Michael Sobolevski sul tema delle perdite umane italiane a Fiume e dintorni durante il secondo conflitto mondiale e nei due anni successivi alla sua conclusione, e ancora con svariate note riportanti le fonti per i diversi episodi e dati di cui scrive nel suo saggio.
Se il Patto di Armistizio Breve del 3 settembre 1943 creò attesa, problemi e drammi in tutta Italia, l’Autore sottolinea come questi siano stati moltiplicati all’infinito, sino a misfatti sanguinari impensabili, in una città di frontiera come Fiume, che inoltre aveva una popolazione a maggioranza italofona ma con una presenza di migliaia di croatofoni che a ridosso del confine politico vantavano legami linguistici con una forte maggioranza croata.
Pure, Micich tiene a specificare che non si trattò di rivolta popolare croata contro l’elemento italiano quella  che finì per organizzare la popolazione fiumana di lingua croata, e non solo, fino a condurla alla presa del potere amministrativo a Fiume e lungo la restante costa adriatica orientale, ma di direttive partitiche precise.
Forte il rammarico espresso con i dati quando scrive che … in Jugoslavia ai primi di settembre si calcolava la presenza di non mano di 350.000 – 400.000 soldati italiani … , anche se cita il tentativo del Generale Antonio Squero, comandante del V Corpo d’Armata, che con i suoi soldati si ritirò verso occidente cercando di … attestarsi il più possibile lungo la linea di confine tra Italia e Jugoslavia sancita dal Trattato di Rapallo nel 1920 [12 novembre] …
Micich descrive per lunghi tratti i tentativi di organizzazione di nuclei di cittadini favorevoli alla sovranità italiana e mette in rilievo come le navi militari italiane abbandonino Pola, i soldati italiani cedano in parte o del tutto il loro armamento alle formazioni militari jugo slave, cita l’appoggio in particolare del Regno Unito a queste ultime, per far capire quanto disperatamente soli si siano trovati i fiumani.
Soli in Città quei dirigenti che vollero provare a reagire, pagando in fine con la vita per non aver voluto abbandonare Fiume, come il senatore Riccardo Gigante che restò perché il suo sacrificio potesse rappresentare una bandiera per i fiumani (3).
Soli in Patria quelli che vollero partire, e di loro Micich scrive che  nella prima quindicina del settembre 1943 La presenza italiana continuava a diminuire. A lasciare la città c’erano alcune personalità fiumane di spicco tra cui Edoardo Susmel, fino a quel momento ai vertici della Provincia del Carnaro (4)
Nelle vicende di Gigante e di Susmel sembra quasi prefigurarsi il futuro dei fiumani, con i residenti rimasti nel territorio storico della Città prima vessati fino alla morte poi con le limitazioni per la loro effettiva libertà politica e culturale, e gli esuli che per tre volte e ancora tre volte e per mille volte tre volte proveranno ad abbracciare le loro anime rimaste nella città senza mai riuscirvi ed infine anche loro in parte morendo salvo sopravvivere in loro l’eroismo della speranza in quella Fenice che li avrebbe riportati nella loro Fiume, nella nostra Fiume.
Il saggio, va fortemente sottolineato, affida la propria leggibilità ai dati, schivando al massimo retorica e sentimentalismi.

Tanti scrittori di cose fiumane mettono in rilievo l’appartenenza della maggior parte dei carnefici degli italiani uccisi con infoibamenti e affogamenti alla tribale sanguinaria banda titoista.
Si legga però anche Edoardo Susmel che già a proposito della prima occupazione croata di Fiume (1848 – 1868) – Tito non era neppure nato – scrive di nefandezze compiute dai soldati croati entrati a Fiume.
Si legga però anche, centosettanta anni dopo, del Consiglio comunale di Rijeka – non può la penna scrivere Fiume – che approva la stipula di un mutuo cittadino per integrare le risorse europee destinate a ristrutturare la Galeb, che fu la nave di rappresentanza del genocida Tito.
Non basta una bella bandiera azzurro stellata per trasformare un barbaro in un civis.

Seguono nella rivista le recensioni, le segnalazioni di pubblicazioni, il notiziario, l’attualità, qualche nota sugli autori del numero in esame, e in fine il sommario.

Per informazioni sui contenutissimi costi d’acquisto: info@fiume-rijeka.it

(1) – A  pag. 137 si da notizia dell’affissione di una targa ricordo nei locali della Scuola Media – Superiore Italiana di Fiume : In questo edificio, nel 1923, fu fondata ed ebbe la sua sede la Società di Studi Fiumani, che, in continuità con la Deputazione Fiumana di Storia Patria attiva negli anni precedenti il primo conflitto mondiale, promosse lo studio della storia cittadina e della regione liburnica. La Società di Studi Fiumani ricostituita in esilio nel 1960 a Roma nel rinnovato dialogo culturale con la città natale a perenne ricordo pose il 15 giugno 2019.
(2) – Segretario generale della Società di Studi Fiumani, presidente dell’Associazione per la cultura fiumana istriana e dalmata nel Lazio, saggista per la rivista dal 1995.
(3) – Ne scrive a pag. 135 Amleto Ballarini.
(4) – Era stato nel 1919 il Delegato alla Propaganda Fiumana, contattando Gabriele D’Annunzio alla Casetta Rossa di Venezia perché liberasse  Fiume dall’occupazione dell’Intesa e dalle mire degli slavi jugo, e da D’Annunzio riconosciuto non ultimo coprotagonista dell’Impresa di Fiume avendolo nominato Segretario Generale della Reggenza del Carnaro.

Il Trattato di Rapallo istituzionalizza lo Stato libero di Fiume
confinante con l’Italia

1920 – 2020
Memoria Patriae prima vis

Servizio obbligatorio di leva civile in Italia   Claudio Susmel