Il primo semestre 2019 della rivista “FIUME”

Dal 1923 scrive per l’italianità
dell’omonima città quarnerina

Labor non omnia vincit

3 ottobre 2019

Marino Micich è un operatore culturale che ha dedicato decenni di lavoro a tenere viva l’italianità presente a Fiume e nel resto dell’area istriano dalmata.
Direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume, si ricorda della mia qualifica di giornalista pubblicista e mi invia il numero 39 della rivista “FIUME”.

La rivista fondata nel 1923, oggi diretta da Amleto Ballarini, che vede lo stesso Micich nel comitato di redazione, presenta in questo numero di 166 pagine ordinatamente impaginate su carta patinata – il direttore editoriale è Giovanni Stelli – più contributi di sicuro interesse.
Oltre al doveroso omaggio in apertura al discorso del Presidente della Repubblica (pagine da 3 a 6) tenuto in occasione della celebrazione del “Giorno del Ricordo”, si leggono un corposo articolo di Massimo Spinetti sui Consolati italiani nelle città dell’Adriatico orientale durante il periodo asburgico e sulla politica asburgica delle sue nazionalità (pagine da 7 a 34), uno di Fabio Todero sugli sforzi fatti dall’Italia per l’occupazione capillare dei territori che le erano stati assegnati dal Patto di Londra (pagine da 35 a 60), e ancora contributi di Cristian Prai, Pier Luigi Guiducci, Rosanna Turcinovich Giuricin.
Seguono le recensioni, le segnalazioni di pubblicazioni, il notiziario, l’attualità, qualche nota sugli autori del numero in esame, e in fine il sommario.

Senza entrare nel merito del singolo articolo, è doverosissimo sottolineare quanto oggi sia difficile stampare un numero così ricco di contenuti sull’area istriano – dalmata e con una veste editoriale che ne consenta una lettura facile e gradevole, specie alla categoria anagrafica di ultra settantenni cui appartiene la maggioranza dei profughi provenienti dai territori della Venezia Giulia e della Dalmazia, territori provvisoriamente staccati dall’Italia in seguito al Trattato di Pace del 1947.
Mentre l’Italia è in attesa di averli indietro, l’aquila di Fiume continua a combattere con le penne di “FIUME” perché si ricordi la fisionomia della mai dimenticata Città: colta, anch’essa sposata col suo mare – l’Adriatico è restio alla monogamia –, amabile, e irriducibilmente italiana senza che i suoi abitanti italofoni abbiano mai escluso nel suo passato civile alcuna minoranza, anche perché parlavano quotidianamente italiano, croato, ungherese e tedesco.

E’ difficile editare una rivista che voglia perseguire finalità culturali volte a promuovere la convivenza pacifica fra etnie diverse, perché comporta un’attenzione quotidiana oltre che allo specifico territorio fiumano, anche a scritti convegni e iniziative di vario tipo che esaminano la politica di tutta l’area italiana, e della transalpina area balcanico danubiana che incontriamo a est delle Alpi Giulie e delle Alpi Dalmatiche.

Difficile trovare le risorse economiche e coordinare quelle organizzative per sviluppare la divulgazione della rivista presso i discendenti dei profughi giuliano dalmati e presso i fiumani residenti, entrambi avidi di scoprire le radici della propria città a loro negate dall’ignoranza e dalla malvagità politica che per decenni hanno provato a presentare Fiume come un monolite storicamente croato.

Quanto appena scritto perché ci si ricordi, prima di criticare una qualche dichiarazione o attività delle Associazioni culturali che operano nell’area istriano dalmata, di liberarsi del fastidioso e talvolta odioso atteggiamento di perenne laudator del bicchiere mezzo vuoto, e ci si chieda piuttosto come fare a riempirlo, cosa fare personalmente per riempirlo.
Perché le popolazioni irredente – sì il termine che usa chi scrive per definire gli italofoni autoctoni che sono sopravvissuti alla pulizia etnica esplicita del secolo scorso e a quella strisciante del corrente è proprio questo – le popolazioni irredente vivono nell’insicurezza costante circa la propria identità linguistica, culturale, e temono l’abrogazione delle avarissime autonomie linguistiche, legislative, rappresentative, di cui – si fa per dire – godono.

Se si ragiona su tutte le difficoltà che una redazione o un gruppo culturale devono affrontare per far sopravvivere nella liburnica Fiume e più in generale nell’area istriano dalmata quell’italianità che per secoli ha illuminato con la propria civiltà la mente e gli occhi – e il palato – dei nostri connazionali e di tante etnie limitrofe, allora si capisce perché abbondano le dichiarazioni entusiastiche degli operatori culturali per le targhe che recentemente sono state affisse in qualche strada del centro di Fiume, ricordanti i nomi italiani che hanno avuto nel passato; nella rubrica “FIUME OGGI” da pagina 155 a pagina 156 si leggono diversi commenti in proposito.

Si capisce meno l’entusiasmo di qualche diplomatico, che dovrebbe ricordarsi del bilinguismo fiumano del dopo guerra, abolito dalle autorità jugoslave senza preavviso e giustificazione alcuna all’inizio degli anni cinquanta.
Il nostro giovane Console generale d’Italia a Fiume Paolo Palminteri vorrà senz’altro adoperarsi perché il bilinguismo perfetto italiano – croato, scritto e visivo, venga istituito nel territorio comunale di Fiume – Rijeka secondo quei parametri europei che l’Italia osserva in Alto Adige e in Val d’Aosta.
Bilinguismo perfetto italiano – croato che sia garantito dalla sua codificazione giuridica internazionale, segnatamente europea.

La rivista è editata sempre puntualmente.
La sua testimonianza d’affetto per l’italianità di Fiume datata sin dal 1923, presenti anche gli scritti di Edoardo Susmel nella sezione storica, ha diritto ancora oggi alla riconoscenza del vostro articolista pronipote di quel Susmel, e di tutti gli altri pronipoti nipoti e figli dei 250.000 esuli giuliano dalmati, e di tutti quegli italiani che non disertano dall’agire per riavere per confine politico il displuvio alpino che lascia Fiume a ovest delle Alpi Giulie; per la geografia Fiume è sempre italiana.
Ha diritto alla riconoscenza di tutti coloro che si limitano a voler ottenere per la Città che fu cosmopolita il bilinguismo perfetto, scritto e visivo, italiano – croato.

Per informazioni sui contenutissimi costi d’acquisto: info@fiume-rijeka.it 

Fiume d’Italia
1919 – 2019
Memoria Patriae prima vis

Servizio obbligatorio di leva civile in Italia”   Claudio Susmel

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C’è già nostalgia per il Ruspantino nazionale?

Eloquenza e forma non mancano
al Governo

ma gli sbarchi dei migranti aumentano
Numerus blateronis taedium

26 settembre 2019

Certo che l’elettorato italiano una qualche soddisfazione nel vedere rappresentata l’Italia da un Professore di Diritto che parla correttamente,  e non ignora l’architettura giuridica della Costituzione italiana – fino a conoscerne i paragrafi e i comma utili ai ribaltoni parlamentari legittimi – l’ha provata.
Certo che una buona metà dell’elettorato italiano un qualche apprezzamento per l’accuratezza con la quale si veste – forse un po’ troppo esplicitata – l’ha provata.

Il problema è che pare tutto ciò non si somatizzi in un argine valido per navi, navette, barche e barchette di migranti, che con rinnovato slancio marinaresco non più contrastato dal Ruspantino nazionale – Matteo Salvini non è propriamente sorvegliato nel costruire la propria eloquenza politica – affollano nuovamente i porti italiani, e i servizi televisivi; questi ultimi però consapevolmente non più proposti con sollecito ed abbondante minutaggio sdolcinatamente elogiante l’opera di “salvatori” di vite umane – ONG & C. –, opera nella quale credono ormai in ben pochi.
Gli incontri di vertici, i progetti bilaterali, le rotazioni su base volontaria dei porti di accoglienza, i temporanei accordi tra pochi membri dei 28 Stati componenti la Comunità Europea abbondano, mentre l’unica misura, la chiusura dei porti, che era risultata valida per arginare l’invasione di stranieri, questa volta provenienti solo dal mare e non anche dai valichi del Brennero e di Nauporto, viene rimodulata e interpretata in modo tale  da permettere un considerevole aumento degli sbarchi.

C’è già nostalgia del Ruspantino nazionale, di quel Matteo Salvini che si vede subito che quando indossa giacca e cravatta lo fa con fatica, ma che non si fa ingannare dall’unto glassato nebbiosissimo sipario di parole, che questo o quel politico italiano o del resto d’Europa tenta quotidianamente di calare sulla realtà dei numeri.
Quei numeri ormai passibili di analisi che sembrano decisamente sfavorevoli alla nuova vecchissima gestione dei flussi immigratori.
L’Opposizione li proponga all’elettorato con tavole facilmente leggibili su carta video e web, e li metta a confronto, il mese dell’anno corrente con il mese di quello precedente.

Così si capirà se questa nostalgia per il Ruspantino nazionale che sembra già insorgere tra l‘elettorato – anche quello passivo – è solo emotiva, o razionalmente basata sui fatti.

                                   Servizio obbligatorio di leva civile in Italia   Claudio Susmel

Fiume d’Italia
1919 – 2019
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“Italia viva” di Matteo Renzi e “ITALIA VIVA” di Giovanni De Agostini

L’ineffabile Conte
e il (nuovo) quadripartito
Utcumque res casura est
Italia alma parens
Dei discipula mundi magistra

20 settembre 2019

Pochi giorni fa Oblo’ scriveva della necessità di approfondire la notizia, a proposito dell’azione politica del nuovo Governo italiano, come della strada ineludibile per ottenere dal lettore un’attenzione che potesse essere misurata in minuti e non in secondi.
Il Governo però, appena dopo il Giuramento davanti al primo cittadino della Repubblica, è cambiato di nuovo: ora è un quadripartito formato da 5 stelle, Leu, e PDI diminuito di senatori e deputati confluenti nel nuovo partito fondato da Matteo Renzi.
Lo presiede ancora l’ineffabile Conte.
Il nuovo partito si chiama Italia viva; si spiega subito perché bisogna fare attenzione a scrivere il nome di quest’ultimo nato con una sola maiuscola.

Si spiega, ma non approfondendo troppo seriamente questa volta, cercando ancora qualcosa nella Storia ma rimanendo in superficie, per non intristire pensando che mentre l’Italia beccheggia e rolla in un Mediterraneo affollato da Marine da guerra, zavorrata da un Debito che tocca il nuovo ennesimo record, un senatore della Repubblica non trova di meglio da fare che fondare un nuovo partito.

Il nome Italia viva scelto per il nuovo partito guidato da Matteo Renzi va scritto rigorosamente con una sola maiuscola, perché il titolo di un libro atlante del Prof. Giovanni de Agostini è ITALIA VIVA.
Qual’è il problema?
Il volumetto accompagnatore dell’atlante … Finito di stampare il 25 novembre 1941 – XX … e cioè pochi mesi dopo la guerra vinta dall’Italia contro la Jugoslavia (aprile 1941), scrive delle diverse Regioni italiane includendovi … Più a nord, oltre il vecchio confine, ancora una nuova gemma alla corona d’Italia, la novantanovesima provincia italiana: Lubiana …  e dopo qualche accenno al passato romano del suo territorio, Giovanni de Agostini conclude con lo scrivere che … Là arriva ora, ad oriente, il nuovo confine d’Italia.
L’Autore nella sua prefazione indirizzata ALLA GIOVENTU’ D’ITALIA scrive anche del suo quarantennio di … attività scientifica e geografica … e presenta la sua nuova opera scrivendo come … Questo viaggio ideale di ritorno verso la mia giovinezza … mi ha fatto sentire, più che mai vibrante e consolatore, il contatto con la giovinezza dell’”ITALIA VIVA”, dell’Italia di oggi, che cresce e palpita nell’ardente clima del Littorio.

A scanso d’equivoci: nessuno immagina Matteo Renzi, e con lui il suo partito costoletta (del PDI) crescere e palpitare nell’ardente clima del Littorio, a meno di una goliardata televisiva di Crozza, però con tutti gli assemblaggi di sostantivi e aggettivi che il ricchissimo vocabolario italiano consente doveva proprio andare a parare lì?
Tra l’altro – sì un cenno di storia ci vuole – l’annessione di Lubiana all’Italia fu una autentica nefandezza per i parametri di qualsiasi tipo di confine, naturale, etnico, economico, militare: una imbecillaggine prima ancora che un crimine, e proprio in quel nord – est dove Vittorio Veneto, nel 1918, ci aveva assicurato il confine naturale (displuvio alpino) con un’approssimazione vicina al cento per cento.

Davvero nessuno immagina Matteo Renzi e il suo partito costoletta (del PDI) crescere e palpitare nell’ardente clima del Littorio.
L’unica divisa con cui lo si figura facilmente è proprio quella evocata da lui stesso, quella di Boy scout, con i pantaloncini al ginocchio, magari con un panino al lampredotto in mano.
Anche se … i bimbi d’Italia si chiaman Balilla … .

Come?
Ora è l’articolista che sbarella?
No.
I bimbi d’Italia si chiaman Balilla è un verso del nostro inno nazionale, e Balilla fu un ragazzetto che amò l’Italia fischiando a sassate gli invasori.
Democraticamente: senza distinzione di epidermico colore, sesso, etnia, religione, opinioni politiche.

                               “Servizio obbligatorio di leva civile in Italia   Claudio Susmel

Fiume d’Italia
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