Qualche cenno di storia fiumana

Giapidi, liburni e romani sulle rive del Quarnero
Per geographiam non solum italica regio

Aprile 2019

Per chi ritiene importante la storia di un popolo al fine di tracciare un confine politico, che tenga conto cioè di elementi non solo geografici ma anche etnici, economici, militari, e di altri elementi ancora, risulta indispensabile considerare che il territorio fiumano, fosse o no compreso nei limiti del confine imperiale romano, pare abbondasse di romanitas. Come per esempio i tractus di un muro romano, e i significativi ritrovamenti romani rinvenuti durante gli scavi nel corso di Fiume effettuati nel 1914 nel Corso della Città; questi ultimi testimonianti forse l’insediamento nella stessa area di una comunità cittadina romana, Tarsatica, il cui nome si sarebbe evoluto nel toponimo Tersatto, luogo di culto dell’area fiumana.
In ogni caso, compresa o no che fosse nei limiti politici amministrativi di questa o quella regione dell’Impero Romano, comunque la sua romanitas concorrerà a far sopravvivere la sopravveniente italianità di Fiume alla marea montante slava, dall’Alto Medio Evo fino al grande esodo del secondo dopoguerra italiano.

Edoardo Susmel scrive di immigrazioni nella epoca preromana propendendo per una identificazione, di qualche attendibilità, dei giapidi quali antichi abitanti della regione.
L’Autore scrive poi dei liburniscesi da tempo immemorabile sulle rive meridionali dell’Adriatico … [che finiranno poi, negli ultimi secoli a. C. , per] stabilirsi nell’estremo seno dell’Adriatico, nel Quarnero … [risultando] navigatori e scaltri ladroni … e continua col citare la guerra vittoriosa dei romani contro gli istriani, che nel secondo secolo a. C. sottomettono tutta l’Istria (1).

(1) – SUSMEL Edoardo, Fiume attraverso la storia dalle origini fino ai nostri giorni pagg. 5/12, Milano, Fratelli Treves editori, 1919.

Fiume d’Italia
1919 – 2019
Memoria Patriae prima vis 

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Il Trieste, l’Istria e la foiba Galeb

Una nuova nave per la festa della Marina militare italiana
Numquam illius capellae obliviscar

24 maggio – 10 giugno 2019

La Marina militare italiana ha risorgimentalmente onorato la propria festa varando il Trieste, la nave di maggior tonnellaggio varata dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale; per i dettagli tecnici virare verso il leggibilissimo sito della Marina.
Varata tra il 24 maggio, data d’inizio della Quinta Guerra d’Indipendenza (1915 – 1918) che condusse con la vittoria di Vittorio Veneto a liberare Trieste dal giogo austro – ungarico, e il 10 giugno, festa ufficiale della Marina.

Trieste, nome caro e amato da tutta la famiglia italiana, e perciò sposata al mare dalla figlia del Presidente della Repubblica Italiana; Repubblica che anche grazie alla cobelligeranza del Regno d’Italia nella seconda parte (1943 – 1945) della Seconda Guerra Mondiale, riuscì a codificare giuridicamente il ritorno di Trieste all’Italia col Trattato di Osimo del 1975.
La non meno amata Fiume vede invece le acque del suo porto inquinate dalla presenza della Galeb, già nave di rappresentanza del dittatore jugoslavo Tito che non impedì il genocidio e l’esodo degli italiani dell’Istria, di cui geograficamente fa parte la liburnica Città. Rugginosissimo ed ignobile simbolo delle nefandezze jugoslave, il cui riattamento viene programmato con il contributo dell’Unione Europea di cui l’Italia e contribuente attivo.
Che fanno i politici italiani per bloccare questa foiba che ingoia i principi delle democratiche istituzioni europee, e devasta la maestà della Storia?
Può essere accettata come capitale europea della cultura 2020 una città che spende denaro dell’Unione Europea per onorare un dittatore?

Varato il Trieste, senza scomodare il Libro dei cattolici che definisce Buon Pastore chi lascia le novantanove pecorelle per cercare quell’una dispersa, vorranno i massimi responsabili della Marina non dimenticarsi di quella capretta – simbolo dell’Istria – che è riuscita a sfuggire alle zanne degli jugoslavi e che non è dispersa ma dimenticata, anche se a poca distanza da Trieste; la si raggiunge in autobus dal capoluogo giuliano.
Il comune di Muggia e il suo piccolo territorio circostante sono infatti anche politicamente oltre che geograficamente italiani. Nulla osta quindi a che il suo nome navighi col tricolore scudato dalle quattro Repubbliche Marinare.
Nave Istria ricorderà agli italiani immemori e agli insegnanti di geografia e di storia che l’Istria oltre che essere tutta italiana geograficamente, è italiana, in piccola ma preziosissima parte anche politicamente.

La capretta attende.
Non facciamo i conigli.

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Ai genitori di Vincent Lambert

L’omino dal fiore in bocca
Nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet

S’ammalò senza speranza e divenne leggero leggero.

Lo vidi andare senza cravatta, e con un fiore in mano che ogni tanto portava alla bocca. Si muoveva sospeso nell’aria a qualche palmo da terra e sorrideva mite.
Continuava a lavorare, anche se faceva fatica a intendersi con chi camminava poggiando saldamente i piedi sulla terra, perché all’altezza in cui si muoveva il vento gli impediva di sentire bene le loro parole. Il suo sguardo vedeva lontano, offuscato soltanto da qualche smorfia di dolore particolarmente forte. Ogni tanto tremava, forse perché sapeva che presto avrebbe incontrato il Giudice, e pensava di non avere referenze del tutto a posto.

In una fredda mattina d’inverno lo vidi seduto su un muro a fianco del cancello d’ingresso di una grande e bella villa; la sera prima s’era sollevato troppo nell’aria e nei sogni, ed era finito lassù. Ora piangeva, pensando a come era solo. Pianse tanto che cominciò a piovere e tutto divenne buio.
Un poco di luce arrivò solo da una porticina non lontana, dalla quale stava uscendo un bambino alto appena appena, che sorrideva da sotto il cappuccio bagnato della sua mantellina rossa, fiero del suo primo grembiule di scuola.
A quel sorriso, sorrise anche l’omino dal fiore in bocca, e dimenticò per un secondo bello come il sole e lungo come l’eternità il suo male senza fine. Poi reclinò il capo, ma con uno sforzo sovrumano resistette a star seduto sul muro, finché non vide il bambino girare l’angolo. Subito dopo cadde, dipingendo di rosso il marciapiede di fronte alla grande e bella villa.
Il fiore che teneva in bocca appassì e la carne cominciò ad irrigidirsi.

Ma l’anima volò in alto.
Il sorriso del bambino cui aveva risparmiato la vista della propria morte l’aveva spinta  verso il cielo pieno di musica e di perdono.

Claudio Susmel