Favola di Natale nella Russia di Putin con Tolstoj e Pirandello

Il monologo di Cecé per Zar Vladimir

La compagnia di prosa italiana era stata invitata a San Pietroburgo per recitare Pirandello.
Nel grande teatro tutto oro e bei colori, il protagonista Cecè dell’atto unico omonimo, in attesa di incontrare Nada, la sua donnina allegra di turno, stava recitando il monologo: Tutti mi chiamano Cecè, ma chi sono veramente io?  

All’improvviso però si è interrotto, e rivolgendosi allo Zar venuto ad ascoltarlo e ora seduto in prima fila, ha così proseguito:
“Ma a chi vuoi che gliene importi veramente qualcosa di questo mio personaggio pirandelliano di cento anni fa? A te forse, temutissimo Zar del 2014? Bah! Mi ascolti e mi guardi giusto per sorridere un po’ dell’inventiva e dei guizzi di un attore italiano. Invece importa molto a noi, attori della commedia che quotidianamente si replica su questo Pianeta, di capire che Zar sei veramente tu”.
Zar Vladimir non si è mosso e continuando a guardare da sotto in su come fa sempre, non solo quando è seduto in platea, ha rivolto su Cecè quel suo amabile sguardo capace di far tremare dal freddo un eschimese. Ma Cecè, abituato all’indifferenza di tanti spettatori apatici, ha proseguito, contento di aver catturato l’attenzione di uno spettatore importante come Zar Vladimir, pur essendo costretto a dominare un brivido di freddo lungo la sua allampanata spina dorsale.
“Tutti ti chiamano Vladimir, ma chi sei veramente tu?, un patriota russo o un imperialista sovietico?, che idea hai della Russia?, non mi rispondi?, allora ti dico che idea ne ho io: la Russia non è europea.”
Zar Vladimir, irrigiditosi ulteriormente, si volta di pochi gradi per un rapido sondaggio d’opinione e congela con lo sguardo le tre fila di spettatori allineati dietro di lui.
“La Russia non è asiatica.”
Zar Vladimir è indeciso se proseguire o meno l’opera di ibernazione fino alla sesta fila.
“La Russia è una sola, la Russia è una nazione euroasiatica.”
Zar Vladimir decongela due fila di spettatori.
“La Russia è un tetto che ha la sua sommità negli Urali, e due versanti, uno occidentale e uno orientale, sotto i quali i russi d’ogni parte del mondo debbono poter andare e trovarvi riparo”.
Zar Vladimir decongela anche la terza fila di spettatori dietro di sé e consente al suo capo di inchimarsi leggermente verso il basso, lasciando ai suoi sudditi il rischio di interpretarlo come un segno di approvazione.
“E quando qualche straniero vuole entrare sotto questo tetto con le armi, è giusto  che i russi guardando la loro bandiera combattano fino a che le onde degli invasori non si infrangano contro la prima barriera opposta dalle loro armi, poi contro la seconda, e infine raggiunta la terza si fermino e rifluiscano.”
Vladimir Zar annuisce, ricordando l’invasione di Hitler fermata a pochi chilometri da Mosca, e un vago tepore umano comincia a propalarsi da lui mentre qualche spettatore, rilevato prontamente il cambio di clima politico, si azzarda a sorridere a Cecè.
“Ma quando i soldati russi hanno respinto l’invasore fuori dai confini nazionali, che riprendano a guardare le loro donne e a pensare al loro caviale e alla loro vodka!
Ricordi Zar come il grande pittore Tolstoj ci descrive l’altrettanto grande Generale Kutuzov che sonnecchia mentre i suoi strateghi discutono?, sonnecchia perché non crede di poter determinare le minuzie della tattica, ma sa quale strategia adottare per vincere guerra e  pace. Sa che deve punzecchiare il nemico senza affrontarlo in campagna aperta – al nemico che fugge ponti d’oro – ma continuare fino a fargli riattraversare la frontiera della sua patria.
Segui l’esempio Zar. Ora che ti stanno invadendo non con le avanzate della cavalleria o dei panzer ma con le ritirate di dollari sterline ed euro, non reagire con lo scontro in campo aperto ma combattili anche tu con le ritirate, con le ritirate dei tuoi soldati entro le tue frontiere.”
Zar Vladimir ha uno sguardo corrucciato ma si vede che vuol sentire come va a finire il monologo, quindi rinuncia ad una sua ulteriore azione ibernatrice dell’opinione pubblica circostante seduta in poltrona e non aziona nuovamente i refrigeratori.
“L’Europa ha bisogno di sicurezza e tu Zar Vladimir gliela puoi dare, perché tu che vuoi la tua Russia unita e forte al di qua e al di là degli Urali hai ragione, perchè la Russia deve essere la cerniera settentrionale che unisce l’Europa all’Asia, lasciando alla Turchia la funzione di cerniera meridionale.
Anche noi attori di buona volontà di questo Pianeta vogliamo la Russia indipendente e sicura, perché vogliamo il pluralismo storico geografico delle nazioni, non vogliamo il pananglosassonismo dei discendenti di W.C. e di Truman così come non abbiamo voluto il pangermanesimo di Hitler. Alla globalizzazione artistica, scientifica et cetera continuino a pensarci i migliori uomini di ciascuna nazione del mondo, perché sia globalizzazione verso il meglio non verso la mediocrità.
Perciò non regalarci fucili e carri armati per Natale batiuscka Vladimir, ma caviale, vodka, sorrisi ed entusiasmi radiosi come quelli di Natascia Rostov. Non voler andare sempre avanti ché quel movimento lo sanno fare tutti e non indietreggiare ché in quel movimento sono specializzati i disertori, ma sta fermo e saldo a casa tua come fanno i veri patrioti.”

Due guardie, avvertite di quanto stava succedendo, irrompono a questo punto in teatro e si dirigono verso il palco, verso Cecè che a quella vista rimane basito – tutti i personaggi di Pirandello all’occorrenza rimangono basiti – ma un gesto imperioso dello Zar li ferma.
Lo Zar si rivolge poi a Cecè e gli chiede:
“Ti piace di più il caviale rosso o quello nero?”
Cecè smette di basire e sta per rispondere, poi pensa al significato storico di quei due colori e nuovamente basisce, non osando rispondere.
Zar Vladimir concede alla comune platea un lievissimo abbozzo di sorriso e riprende:
“Tranquillo italiano, lo so che non sei malvagio e che il tuo popolo vuole solo fare affari con noi. Vieni, discutiamone facendo una corsa in troika tra i magnifici palazzi che i tuoi connazionali hanno costruito a San Pietroburgo”.
E se lo mette a fianco. E continua a parlargli:
“ … però la Crimea … quei fratelli d’Ucraina … e devo stare attento dici? … hm … hai ragione … qual è il tuo nome fuori scena?, Silvio?, senti Silvio, domani andiamo a cena a Jasnaja Poljana, fai venire anche Nada e qualche sua amica, mangeremo caviale nazionale russo nero e rosso,  vedremo di aggiustare la cosa, però …“

Intanto dietro le quinte, il capocomico sorrideva soddisfatto, pensando a quei principianti della critica teatrale che ritenevano Pirandello fosse superato.

Claudio Susmel 

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