L’umorismo ritrovato di casa nostra

Totò e il Trattato di Pace del 1947

Nessuna clausola del Trattato di Pace del 1947 aveva previsto che dovessimo guardare i film di Chaplin al posto di quelli di Totò.

Eppure per molti anni nella seconda metà del secolo scorso, sussiegosi cenni di approvazione e accenti di compunta ammirazione hanno commentato i passettini ondulanti di Charlie Chaplin, la sua bombetta con baffetti neri e denti bianchi sottostanti, e le sue non molte battute; ma a parte qualche suo reale estimatore, gli altri critici interinali cambiavano presto discorso.
Erano tempi in cui John Waine aveva sostituito Amedeo Nazzari, e Rin tin tin la Piccola Vedetta Lombarda. Sceneggiature, personaggi, paesaggi, guerre ed eroismi di altri popoli avevano accompagnato le truppe straniere sbarcate sul nostro territorio, realizzando una poderosa cancellazione della nostra filmografia nazionale.
La verità e l’identità tornano però sempre a galla, e governare gli italiani è difficile anche per le multinazionali straniere.
Lentamente ci riconoscemmo il diritto di sorridere e ridere apertamente per quel campione di comicità italiana – solamente italiana? – che fu Totò, totalmente privo di vaghe supponenti nubi intellettuali volte a stemperare e moderare il fragore gioioso e pieno di colore della vita racchiusa tra le Alpi e il Mediterraneo. Frizzi,  lazzi, scherzi, motti, burle, picchi vocali, bassi tocchi manuali (prevalentemente di gomito), mosse buffe e ammiccamenti, torcicollo da contorsionista, brillii dei mobilissimi occhi, scoppiettii senza fine di battute da copione o improvvisate in scena; testa, torso, mani, braccia, gambe e piedi in un perenne movimento che regalava personaggi e festa viva a tutte le età, e che infine impose a tanti di togliersi la maschera da pseudo intellettuali di spessore transalpino per concedersi di amare il proprio umorismo, quello di casa propria, quello di Totò.

Totò, cui dobbiamo, grazie a un suo film, la definizione umoristica meno sbracata e più sintetica di venti anni della nostra Storia che lui aveva attraversato con le sue compagnie di rivista: “… l’Impero romagnolo …”.
Totò, il Principe – per l’araldica e per l’arte – che il referendum silenzioso delle nostre anime ha trattenuto in quella Repubblica che il chiacchierato referendum elettorale del dopo guerra fece subentrare alla Monarchia.

                                                                                                      Claudio Susmel

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