Mario Draghi sceglie comunque di servire l’Italia e non una potenza straniera

Il Presidente del Consiglio formula la sua “domanda chiusa”
Homo magni laboris sed non heros

23 dicembre 2021

Dicesi domanda chiusa quella domanda rivolta all’interlocutore, che lo invita a scegliere tra soluzioni proposte dall’interrogante.
“Volete che lavori come Presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia o Presidente della Repubblica Italiana?” E’ questa la domanda chiusa rivolta da Mario Draghi al Parlamento e agli Elettori del Presidente della Repubblica nella sua recente conferenza stampa, seppure parzialmente insonorizzata con qualche esile velo semantico.

In tanti si sono interrogati su quale fosse la soluzione migliore per l’Italia, e qualcuno per il proprio personale tornaconto.
OBLO’ non ha però letto né sentito da nessuna parte di alcuno che rilevasse dalle parole di Mario Draghi la sua scelta più importante per noi italiani, quella cioè di restare in Italia, a Roma, non lontano dal suo ombreggiante umbro rifugio.
Non era scontato.
Prima di tutto perciò accogliamo con sollievo questa scelta primaria.
Scelta invidiatissima da qualsiasi assennata istituzione economica transalpina di rilievo.
Per questa scelta, risultando quindi in ogni caso obbligati a riconoscenza, e a remunerazione per il lavoro già fatto, cerchiamo di estrarre dagli anfratti della sua cautissima lingua una più chiara manifestazione della sua preferenza a lavorare in questa o quella Istituzione italiana e, accantonata la nostra soluzione personale ipotizzata in precedenza, accontentiamolo, perché un Mario Draghi che lavori per l’Italia, al Consiglio dei Ministri o alla Presidenza della Repubblica, è comunque meglio di un Mario Draghi che lavori al servizio di una potenza straniera.

Accontentato che sia, corre però ancora un obbligo per l’attuale Presidente del Consiglio Draghi: ovunque sarà nel 2022, si ricordi che il suo lavoro è iniziato, ben impostato, ma tutt’altro che finito.
Il generale Figliuolo combatte valorosamente contro un Covid che è però mutante e mortale.
Non sono pochi gli italiani che auspicano sedi vacanti per le istituzioni e nei ruoli più importanti della Nazione, per poterne saccheggiare senza un controllo efficiente le risorse.
Sono oltre 60.000 dall’inizio del 2021 gli immigrati illegali.
Si è verificato un aumento indiscriminato per il costo delle materie prime e di tante prestazioni lavorative a causa di un SuperBonus 110% fuori controllo.
Il Reddito di Cittadinanza premia troppi indegni di riceverlo.
Le nostre Forze Armate non sono ancora collegate da un’unica lingua federale alle altre forze armate della costituenda Federazione Europea.
La più parte delle risorse europee deve ancora arrivare ed essere amministrata.
L’elenco dei problemi da risolvere potrebbe continuare.

Il lavoro fino ad ora fatto legittima perciò Mario Draghi a una scelta che soddisfi anche le sue ambizioni personali, ma non a dichiarare che il Governo può continuare con un qualsiasi altro Presidente del Consiglio.

“Servizio di leva civile obbligatorio in Italia”  Claudio Susmel

Centosessantesimo anniversario dell’Unità d’Italia Incompleta
1861 – 2021
Memoria Patriae prima vis

La nuova crisi russo ucraina e il monologo di Cecé (Silvio) per Zarputìn

La Russia sognata
dai patrioti di tutta Europa
Omnium libertatem tueri

Dicembre 2021

La compagnia di prosa italiana è invitata a San Pietro Burgo per recitare Pirandello.
Nel grande teatro tutto oro e colori, il protagonista Cecè dell’atto unico omonimo, in attesa di incontrare Nada, la sua donnina allegra di turno, sta recitando il suo monologo: Tutti mi chiamano Cecè, ma chi sono veramente io?  

All’improvviso si interrompe, e rivolgendosi a Zarputìn venuto ad ascoltarlo e ora seduto in prima fila, così prosegue:
“Ma a chi vuoi che gliene importi veramente qualcosa di questo mio personaggio pirandelliano di cento anni fa? A te forse, temutissimo Zar del 2014 e del 2021?
Bah! Mi ascolti e mi guardi giusto per sorridere un po’ dell’inventiva e dell’arte di un attore italiano; importa invece molto a noi, attori della commedia che quotidianamente si replica su questo Pianeta, di capire che Zar sei veramente tu”.
Zarputìn non si è mosso e continuando a guardare da sotto in su come fa sempre, non solo quando è seduto in platea, ha rivolto su Cecé quel suo amabile sguardo capace di far tremare dal freddo un eschimese. Ma Cecé, abituato all’indifferenza di tanti spettatori apatici, ha proseguito, contento di aver catturato l’attenzione di uno spettatore importante come Zarputìn, pur essendo costretto a dominare un brivido di freddo lungo la sua allampanata spina dorsale.

“Tutti ti chiamano Zarputìn, ma chi sei veramente tu?, un patriota russo o un imperialista sovietico?, che idea hai della Russia?, non mi rispondi?, allora ti dico che idea ne ho io: la Russia non è europea.”
Zarputìn, irrigiditosi ulteriormente, si volta di pochi gradi per un rapido sondaggio d’opinione e congela con lo sguardo le tre fila di spettatori seduti dietro di lui.
Cecé riprende: “La Russia non è asiatica.”
Zarputìn è indeciso se proseguire o meno l’opera di ibernazione fino alla sesta fila.
“La Russia è una sola, la Russia è una nazione euroasiatica.”
Zarputìn decongela due fila di spettatori.
“La Russia è un tetto che ha la sua sommità negli Urali, e due versanti, uno occidentale e uno orientale, sotto i quali i russi d’ogni parte del mondo debbono poter andare e trovarvi riparo”.
Zarputìn decongela anche la terza fila di spettatori dietro di sé e consente al suo capo di inchinarsi leggermente verso il basso, lasciando ai suoi sudditi il rischio di interpretarlo come un segno di approvazione.
“E quando qualche straniero vuole entrare sotto questo tetto con le armi, è giusto  che i russi guardando la loro bandiera combattano fino a che le onde degli invasori non si infrangano contro la prima barriera opposta dalle loro armi, poi contro la seconda, e infine raggiunta la terza si fermino e rifluiscano.”
Zarputìn annuisce, ricordando l’invasione di Hitler fermata a pochi chilometri da Mosca, e un vago tepore umano comincia a propalarsi da lui mentre qualche spettatore, rilevato prontamente il cambio di clima politico, si azzarda a sorridere a Cecé.
“Ma quando i soldati russi hanno respinto l’invasore fuori dai confini nazionali, che riprendano ad amare le loro donne e a pensare al loro caviale e alla loro vodka!
Ricordi Zarputìn come Tolstoj ci descrive il Generale Kutuzov che sonnecchia mentre i suoi strateghi discutono?, sonnecchia perché non crede di poter determinare le minuzie della tattica, ma sa quale strategia adottare per vincere guerra e  pace. Sa che deve punzecchiare il nemico senza affrontarlo in campagna aperta – al nemico che fugge ponti d’oro – ma tallonarlo fino a fargli riattraversare la frontiera della sua amata patria.
Segui l’esempio di quel grande e professionale patriota russo Zarputìn. Ora che ti stanno invadendo non con le avanzate della cavalleria o dei panzer ma con le ritirate di dollari sterline ed euro, non reagire dilagando oltre i confini della tua sterminata patria ma difenditi con le armi dell’economia.”
Zarputìn ha uno sguardo corrucciato ma si vede che vuol sentire come va a finire il monologo, quindi rinuncia ad una sua ulteriore azione ibernatrice dell’opinione pubblica circostante seduta in poltrona e non aziona nuovamente i refrigeratori.
“L’Europa ha bisogno di sicurezza e tu Zarputìn gliela puoi dare, perché tu che vuoi la tua Russia unita e forte al di qua e al di là degli Urali hai ragione, perché la Russia deve essere la cerniera settentrionale che unisce l’Europa all’Asia, lasciando alla Turchia la funzione di cerniera meridionale.
Anche noi attori di buona volontà di questo Pianeta vogliamo la Russia indipendente e sicura, perché vogliamo il pluralismo storico geografico delle nazioni, non vogliamo essere sudditi del Wasp Empire dei discendenti di W.C. e di Truman come non abbiamo voluto essere sudditi del pangermanesimo di Hitler.
Perciò non regalarci fucili e carri armati per Natale batiuscka Vladimir, ma caviale, vodka, sorrisi ed entusiasmi radiosi come quelli di Natascia Rostov; non voler andare sempre avanti ché quel movimento lo sanno fare tutti e non indietreggiare ché in quel movimento sono specializzati i disertori, ma sta fermo e saldo a casa tua come fanno i veri patrioti.”

Due guardie, avvertite di quanto stava succedendo, irrompono a questo punto in teatro e si dirigono verso il palco, verso Cecé che a quella vista rimane basito – tutti i personaggi di Pirandello all’occorrenza rimangono basiti – ma un gesto imperioso di Zarputìn li ferma.
Lo Zar si rivolge poi a Cecè e gli chiede:
“Ti piace di più il caviale rosso o quello nero?”
Cecé smette di basire e sta per rispondere, poi pensa al significato storico di quei due colori e nuovamente basisce, non osando replicare.
Zarputìn capisce e concedendo alla platea un lievissimo abbozzo di sorriso riprende:
“Tranquillo italiano, lo so che non sei malvagio e che il tuo popolo vuole solo fare affari con noi. Vieni, discutiamone facendo una corsa in troika tra i magnifici palazzi che i tuoi connazionali hanno costruito a San Pietro Burgo”.
E se lo mette a fianco. E continua a parlargli:
“ … però la Crimea … quei fratelli d’Ucraina … e la N.A.T.O. troppo vicina … e devo stare attento dici? … hm … hai ragione … qual è il tuo nome fuori scena?, Silvio?, senti Silvio, domani andiamo a cena a Jasnaja Poljana, fai venire anche Nada e qualche sua amica, mangeremo caviale nazionale russo nero e rosso,  vedremo di aggiustare la cosa, però …“

Intanto dietro le quinte, il capocomico sorride soddisfatto, pensando a quei principianti della critica teatrale che ritengono Pirandello sia superato.

         "Servizio obbligatorio di leva civile in Italia"        Claudio Susmel                                                                                    

Centosessantesimo anniversario dell’Unità d’Italia Incompleta
1861 – 2021
Memoria Patriae prima vis

Giorgia Meloni prima del Quirinale

Mattarella, Draghi, Figliuolo,
il prossimo Ministro degli Interni
e il prossimo Ministro degli Italiani all’Estero.
Locorum per angustias pro bono Italiae

10 dicembre 2021

Come ampiamente previsto.
La mediatica verbosissima zuffa per far salire al Quirinale tizio o caio è già da tempo iniziata, facendo tornare il sorriso su folle di commentatori digiunissimi di economia, che sanno però quanti voti presero Tizio o Caio nel Novecento per l’elezione del Presidente della Repubblica Italiana; al pari di tanti parlamentari anche loro temono di perdere il posto di lavoro o di vederne ridimensionate le funzioni.
Cordiali visite di cortesia degli eredi di nemici politici una volta acerrimi, e contestuali proposte di candidature di un partito politico all’esponente di un altro partito politico: movimenti tutti molto edificanti se confrontati con l’odio politico talvolta sanguinolento di anni passati, ma che non profumano di sincero generoso buon vino prodotto per la collettività nazionale, quanto di mesto mosto che puzza un po’di piedi in marcia e gara verso l’unico colle.

Molto si scrive sui sondaggi della prevista ascesa di Giorgia Meloni verso la guida del Centro Destra e conseguentemente verso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ove non disponibile Draghi; pur di raggiungere questo scopo viene propugnata la candidatura di Berlusconi al Quirinale e le elezioni anticipate.
L’Onorevole Meloni non persegua questo scopo, non con questi tempi e mezzi nefasti per la salute fisica ed economica d’Italia.
Agganci invece il suo vagoncino di fedele servitore – grazie per il consenso che indovino per lo scrivere servitore e non  servitora – al treno autenticamente patriottico della competenza politica e professionale guidato dall’organizzatore giuridico Mattarella e dal coordinatore economista Draghi, che hanno proficuamente agganciato il vagoncino colmo di professionalità del Generale contra Covid Figliuolo, e presto, auguriamocelo, quello di Ministro degli Interni con titolare Minniti o Salvini.
Come?

Nel simbolo del partito presieduto da Giorgia Meloni c’è una fiammella che in tanti non abbiamo mai votato, temendo alimentasse nostalgie e dittature fuori tempo, ma che è riuscita proprio per il nostro non voto a indebitarci per ciò che di buono aveva fatto politicamente per decenni: era il simbolo dell’unico partito che continuava a parlarci dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia.
Se il presidente di Fratelli d’Italia non vuole traghettare quel simbolo da una rappresentanza elettorale democraticamente incerta a un simbolo cimiteriale, lo conduca al suo compimento politico, riprenda a occuparsi degli italiani residenti nelle terre situate al di qua delle Alpi ma non amministrate politicamente dall’Italia, e di tutti gli altri italiani residenti oltre le Alpi: Giorgia Meloni si candidi per la guida del Ministero degli Italiani all’Estero – si chiama così? – e faccia esperienza di Governo difficile, angusto, non popolare, insomma concretamente eroico.
La Donna della Garbatella conferisca al Governo di Unità Nazionale coraggio vero e quotidiano: rinunci ad ambizioni personali, lasci che le perseguano vacui patetici tribuni del secolo scorso, e riprenda a tessere la tela del rinnovato Risorgimento Italiano, prima monarchico ora repubblicano, festinando lente con Tajani, l’unico che recentemente abbia gridato viva l’Istria e la Dalmazia italiane, e con quanti ricordano che il Carroccio della storia ha combattuto per l’Italia, vincendo, contro transalpini invasori.
Siamo in tanti che da decenni lavoriamo per distinguere il bambino dall’acqua sporca, il Risorgimento dall’Imperialismo: Giorgia Meloni ha tutte le capacità professionali per tirare fuori il bambino  del tutto, farlo crescere senza cattive compagnie, amarlo, e farlo amare (1).

(1) – In previsione dei futuri incarichi governativi, si alleni intanto anche ad eliminare le poco eleganti grattatine di capelli e le puliture di labbra con la mano; si sfoghi in privato, come facciamo tutti. 

“Servizio obbligatorio di leva civile in Italia”  Claudio Susmel

Centosessantesimo anniversario dell’Unità d’Italia Incompleta
1861 – 2021
Memoria Patriae prima vis