Revisione del Trattato di Pace del 1947/2

Da dove ripartire dopo la sconfitta codificata con il TP47
Nondum fessi plorando sumus?

Conseguenze del TP47
Le clausole del TP47 offesero l’Italia, anche perché non si limitarono a punire l’aggressività del suo regime fascista togliendole le colonie e i territori transalpini, ma perché mutilarono il suo territorio nazionale naturale, compreso tra le Alpi e i mari.
Tutto ciò nonostante l’aggressività del regime italiano di quel tempo fosse per altro comune a diversi regimi degli stati vincitori. Basti ricordare a questo proposito l’aggressione comunista dell’Unione Sovietica ai danni di Polonia, Finlandia, Romania, Lituania, Lettonia ed Estonia tra il 1939 e il 1940, e la perdurante politica di sfruttamento degli Imperi britannico e francese – con ordinamento metropolitano interno democratico  – esercitata sui territori delle loro colonie, ben più numerose di quelle italiane e per ben più lungo tempo da essi amministrate.
Oltre alle mutilazioni alle frontiere, l’Italia andò incontro a un rilevantissimo disarmo delle sue Forze Armate, con l’imposizione della cessione ai vincitori, tra l’altro, del naviglio più importante della Regia Marina, allora una delle flotte più potenti del Pianeta. E si tentò di umiliarla, come si è già accennato nel capitolo precedente, non solo con il contenuto delle clausole ma anche con la formulazione delle stesse.
Conseguenze pesanti dunque, che come vedremo verranno in parte attutite o rimosse, ma ad esclusione pressoché totale di quelle territoriali.

E’ barbaro, cioè sostanzialmente ignorante, il popolo che tenta di umiliarne un altro perché lo ha vinto in una guerra, ed è un barbaro autolesionista nel considerarla l’ultima, visto che quando si limita ad esaminare i suoi rapporti con lo sconfitto del momento non pensa alla reazione che avranno i suoi figli, i suoi nipoti, e nel caso dell’Italia – la nostra nazione ha una storia di tre millenni – presumibilmente anche i suoi pronipoti. Si può ragionevolmente sostenere che i vincitori che persistano in questa dimenticanza a disonore delle divise che indossano e delle bandiere nazionali che sventolano, non solo non si curano minimamente del benessere dell’altrui nazione ma neppure di quello della propria, visto che la espongono all’altrettanto malvagio e sterile desiderio di vendetta dei discendenti degli sconfitti; che succederà degli Stati Uniti, per fare uno degli esempi possibili, se un giapponese di Hiroshima inventerà un’arma ancora più devastante dell’atomica?
Insomma, le conseguenze di un Trattato di Pace che non tenga conto della dignità di tutti i suoi contraenti, possono risultare gravissime anche e proprio per i vincitori.

Come già scritto, i vincitori talvolta impongono nei trattati delle clausole che paradossalmente danneggiano le loro stesse nazioni. Qualche riflessione in proposito.
Perdere la concessione di Tien-Tsin in Cina è stato senz’altro un vantaggio anche per l’Italia oltre che per la Cina, se solo si pensa alle odierne fluenti relazioni commerciali tra due nazioni sovrane, che consentono alla tecnologia italiana di raggiungere il mercato di questo vastissimo paese popolato da un miliardo e mezzo di abitanti desideroso di migliorare le proprie condizioni di vita individuale.
Ma è risultato altrettanto vantaggioso per l’Europa, per gli Stati Uniti e per il resto del mondo occidentale, eliminare la presenza italiana in Africa, favorendo di fatto l’espansione cinese nel continente africano, che si trova a tiro di missile dalle basi militari occidentali europee?
Perdere la sovranità italiana sulla Libia è stato un vantaggio per la Libia e per la coscienza risorgimentale degli italiani, ma è risultato altrettanto vantaggioso minare l’influenza italiana in Libia, finendo col farla scivolare per decenni in proprietà al capotribù Gheddafi? Successivamente, la parziale “influenza” italiana in Libia recuperata durante il regime di Gheddafi, se non proprio favorita almeno non impedita dall’Occidente, dimostra che il potenziamento di un rapporto italo – libico aveva aiutato la Libia a venir fuori da quella temperie politica che aveva portato all’attentato aereo di Lockerbie del dicembre 1988 e ai suoi 270 morti, nel quale pare certo fossero coinvolti i servizi segreti libici; questo rapporto italo – libico potenziato nel tempo aveva prodotto anche vantaggi commerciali, non solo per i libici e per i tanti azionisti italiani delle imprese italiane, ma anche per gli azionisti stranieri, specie delle imprese italiane petrolifere. Ricordiamo anche che la prudenza italiana iniziale nel valutare gli scontri armati corsi tra insorti libici e lealisti nel 2011, ha contribuito ad evitare all’Europa e all’Occidente che i colpi di testa di un epidermico protagonismo francese supportato da un latente appoggio muscolare anglosassone inibissero a priori la ricomposta convivenza pacifica tra le due sponde del Mediterraneo una volta conclusa l’azione armata della N.A.T.O. Quanto la pace nel Mare dei Tre Continenti possa essere oggi mantenuta dalle policrome volubili e nomadi componenti politico-religiose del mondo arabo lo si è visto anche dalla insanguinata fine estate del 2012 fino al sanguinoso caos  di questo inizio d’anno 2015.
Insomma, la comunità internazionale lasci lavorare l’Italia nelle zone del Pianeta che conosce meglio degli altri.

E a proposito dell’opportunità di una qualche presenza italiana in Africa, ascoltiamo Giovannino Guareschi (1), quando in un ampio commento sulla vendetta consumata dai vincitori della Seconda Guerra Mondiale ai danni degli sconfitti, parla di un Europa messa all’angolo e ricorda la caduta di gran parte dell’Europa orientale sotto il dominio sovietico. Guareschi attribuisce il fallimento dell’intervento franco britannico del 1956 sul Canale di Suez alle pressioni degli Stati Uniti d’America: … l’Europa deve essere cacciata via dall’Africa … matura per governarsi da sola … sopratutto per comprare armi, automobili e frigoriferi americani … . Commenta una vignetta che mostra una Europa dalle sembianze di donna curva sotto un asse che regge una atomica U.S.A. a sinistra e un’atomica U.R.S.S. a destra con le parole: … povera vecchia Europa inguaiata a est e a ovest … . E ancora riferendosi all’Africa: … 700 milioni di cinesi ti guardano con occhi famelici … . Sostiene che la vendetta consumata con la cacciata dell’Italia dall’Africa ha sbilanciato la situazione europea in Africa e: … la vendetta si ritorce contro i vincitori … , evidentemente alludendo a una vendetta che si ritorce contro i vincitori europei, visto che parla della cacciata della Francia dall’Algeria, dove i francesi lasciano costruzioni e convivenza ivi stabilite e dove lasciano il proprio passato, il proprio lavoro, dove iniziano rastrellamenti e appropriazione di beni abbandonati; e ancora evidentemente allude a una vendetta che si ritorce contro i vincitori europei, visto che parla dei tentativi falliti dei politici britannici di ingraziarsi gli zulù.

E’ risultato vantaggioso per l’Europa, per gli Stati Uniti, per l’Occidente intero, e per il resto del mondo, il ritiro dei soldati italiani dal displuvio delle Alpi Giulie, dall’Istria, dal Golfo del Quarnaro, da Zara, dalle Isole Lagostane, e da Pelagosa? E’ risultato fruttuoso per la difesa dei confini dell’Occidente? Se negli anni ’90 del secolo scorso il displuvio delle Alpi Dalmatiche – nome col quale chi scrive definisce le Alpi Orientali dal Monte Bittorai all’ultimo lembo meridionale della linea costiera delle Alpi Dinariche – fosse stato sorvegliato dai soldati italiani, non ci sarebbero state più possibilità di evitare che l’interno della penisola balcanica finisse in mano ai suoi più feroci macellai? La presenza delle Forze Armate Italiane sulla sponda orientale dell’Adriatico non avrebbe contribuito ad evitare il  massacro di Sebrenica o perlomeno a fermarlo prima e con maggiore efficacia di quanto non abbiano fatto le multicolori temporanee forze armate internazionali? Le centinaia e centinaia di chilometri di frontiera marittima dell’Adriatico orientale possono essere sorvegliate efficacemente da uno stato di circa 4.500.000 abitanti quale è la Croazia?, dalla Bosnia – Erzegovina?, dal Montenegro? Oppure i trafficanti d’armi, di droga e di criminali di guerra ci sguazzano? E’ del tutto improbabile che l’organizzazione per l’attacco alle Twin Towers del 2001 sia stata nutrita con il passaggio di persone e mezzi attraverso i valichi davvero ben poco controllati del displuvio alpino dalmatico? Il displuvio delle Alpi Dalmatiche non in mani italiane difende efficacemente le rotte marittime commerciali, e non solo, del Mediterraneo?; si pensi a tutti i punti d’approdo sulle coste dalmate malamente sorvegliati, autentiche “Zone Canaglia” per veloci barchini armati e con carichi di vario tipo.

L’imposizione all’Italia dell’attuale confine orientale non solo priva la nostra nazione dei suoi confini naturali a est, ma priva anche l’Europa, gli Stati Uniti, l’Occidente intero, di una linea di difesa sicura.
La diminuita estensione dei territori naturali orientali d’Italia sottoposti a sovranità italiana e la diminuzione della influenza italiana nel mondo come conseguenza del TP47, sono un male per l’Occidente e per le popolazioni civili del mondo intero. E più che da un intelligente calcolo di bilanciamento dei poteri tra nazioni europee e nord americane, sono state determinate dalla follia politica di nazioni europee vincitrici, che anche dopo aver visto statunitensi e russi decidere all’Elba della sorte d’Europa, hanno continuato a illudersi di essere rimaste delle grandi potenze e di poter continuare a dominare il Mediterraneo e l’Europa stessa.

Non si scrive pertanto del TP47 solo per mettere in risalto i suoi effetti dannosi sulle azioni compiute dall’Italia per raggiungere l’obiettivo primario della sua politica internazionale, obiettivo che chi scrive identifica nel raggiungimento dei suoi confini naturali, da perseguire anche attraverso revisioni successive delle clausole confinarie del TP47. Si scrive altresì per rilevare le conseguenze dannose che il TP47 ha arrecato al mondo intero, specie all’Occidente, e che per questo motivo si ritiene debbano essere tenute in conto dagli alleati di oggi; non necessariamente cioè perché nostri generosi amici, ma perché attenti all’utile che verrebbe alle loro nazioni dal trattare gli affari italiani come strettamente correlati ai propri, con modalità più lucide quindi di quelle adottate dai vincitori e dai liberati del 1947, più lucide di quelle ancora in uso oggi.

Il Giorno del Ricordo
Dal n. 6/2007 del quindicinale “Panorama” edito a Fiume, a firma di Gianni Giuricin:
In occasione della ricorrenza del sessantesimo anno dell’avvenuto cambio di sovranità dell’Istria si sta rinnovando con una certa insistenza il ricordo dell’infausto avvenimento … uno studio del rinnovo dei ricordi avrebbe un senso se comportasse lo studio dei rimedi dell’iniqua ingiustizia di quegli avvenimenti … E ciò anche se non è possibile [prevedere] l’ipotesi del governo italiano di superare la fase negativa delle conseguenze del trattato di pace con quella positiva di un futuro impegno del governo per una nuova fase di revisione pacifica delle dure clausole territoriali … .
Condivisibile o no, in tutto o in parte, non v’è dubbio che l’analisi di Giuricin contenga in sostanza un principio pratico inconfutabile: ricordare un torto subito senza reagire equivale a piangersi addosso.
La ricerca condotta da “Revisione del Trattato di Pace del 1947”, con il suo studio dei rimedi volto a revisionare le clausole territoriali che hanno amputato il territorio geografico italiano, vuole contribuire a interrompere questa pratica sterile e poco dignitosa per ciascun singolo cittadino italiano, per la Nazione intera.

Da dove ripartire
Della revisione del TP47 si parlò tanto nel dopoguerra.
Se pure oggi si verifica la non applicazione di alcune sue clausole non confinarie (si pensi ad alcuni strumenti bellici in dotazione alle nostre Forze armate anche se vietati dal TP47), è bene però esporre la considerazione più importante tenuta costantemente presente per la stesura di queste pagine, e cioè che nel TP47 sono le clausole confinarie le più importanti in assoluto: privata della sua terra la nazione muore o viene, letteralmente, diminuita. E a questo proposito ricordiamo che se si escludono modeste rettifiche di confine, nessuna revisione (degna di questo nome) delle restrizioni confinarie imposte all’Italia in conseguenza del TP47, fu ottenuta mai da alcun Governo italiano.

Nello specifico, a proposito del confine con la Francia, Enzio Campanella (2) esamina le attribuzioni ottenute dalla Francia col TP47 e scrive: In sostanza si può affermare che col Trattato del 10 febbraio 1947 la Francia si vide attribuire, territori che – per un precedente brevissimo periodo – aveva annesso d’imperio, a seguito delle conquiste napoleoniche. In applicazione del predetto Trattato di Pace il nuovo confine fu delimitato nel 1948. Venne peraltro, lasciata in sospeso, per contestazioni non risolte allora, la definizione dei seguenti tratti: Moncenisio, Croce del Vallonetto, Clavière, Collalunga, Olivetta-San Michele. … Dopo alterne vicende … [venne raggiunto un ] accordo tra i due Governi di costituire una Commissione Mista per la delimitazione dei tratti in cui il confine era rimasto in sospeso. Tale Commissione fu poi costituita nel corso del 1961… fu possibile definire le divergenze relative [a] … Clavière … : … accordo di massima raggiunto: di restituire all’Italia gli edifici ad ovest del Rio Secco, ricostituendo l’unità dell’agglomerato urbano e ottenendo una sia pur modesta area di rispetto attorno ad esso … L’accordo sulla definizione particolare del confine, in tale tratto, venne raggiunto nel 1972 e stipulato in data 30.6.1973 con lo scambio delle Note italo-francesi per la “Rettifica di frontiera nel settore di Clavière (in Gazz. Uff. 24.7.1973 n.189)… La demarcazione venne effettuata nel 1975 sulla base dell’andamento di confine determinato col predetto accordo …
Lo scrupoloso articolista concluderà: Se non è stato possibile, né era concepibile che lo fosse, rimettere in discussione uno strumento diplomatico già perfezionato, i pur modesti risultati raggiunti hanno costituito un elemento che ha contribuito a favorire lo sviluppo di buone relazioni tra i due paesi, in un clima di soddisfacente comprensione.
I pur modesti risultati raggiunti
risulta essere una definizione corretta comparando l’estensione del territorio restituito a quella del territorio sottratto, e il tutto sembra a chi scrive – che pure gioirebbe per la restituzione all’Italia anche di un solo metro quadrato di terra italiana occupata dalla Francia o da altro Stato straniero – un modo di procedere furbastro: ti rubo “mille” (col TP47), e ti rendo “uno” (con la rettifica di frontiera del 1973), perché tu stia buono e chiacchieri a lungo sull’ ”uno”, senza reclamare i “mille”.

E’ giusto rilevare che poiché la Dichiarazione Tripartita del 1948 con la quale si richiedeva la restituzione all’Italia dell’intero territorio Libero di Trieste fu firmata da stati Uniti, Regno Unito e Francia ma non dall’Unione Sovietica, l’astensione di quest’ultima risultò di fatto un sostegno per la Jugoslavia contro le richieste di revisione confinaria del Trattato a favore dell’Italia; ma è altrettanto doveroso rilevare che neppure la Francia ha mai restituito i territori sottratti all’Italia col TP47, se si eccettua una modestissima revisione degli stessi.
Né, se si eccettua il ritorno in possesso dell’Italia di alcune sacche territoriali sul confine orientale della Venezia Giulia indebitamente occupate dagli jugo slavi in spregio a quanto stabilito dal TP47 – ricordiamo quelle del Sabotino e del Colovrat – , alcuna revisione confinaria fu ottenuta dalla Slovenia e dalla Croazia, eredi dei territori orientali strappati all’Italia e ceduti alla Jugoslavia col TP47 o con la violazione di fatto dei confini stabiliti dallo stesso; repubbliche queste della Slovenia e della Croazia, nate dopo l’ennesima macelleria balcanica – trecentomila morti – che negli anni ’90 disfece la Jugoslavia. Croati e sloveni sono evidentemente popoli che non amano le tasse di successione: non avrebbero voluto pagarle neppure quando sotto il nome di Jugoslavia succedettero all’Austria – Ungheria, dopo aver combattuto indossando le livree asburgiche contro i soldati Alleati, e contro i soldati Associati di quel Presidente statunitense Wilson che con i suoi fumosi e speciosi sermoni così tanto mostrò di averli a cuore a danno dell’alleata, vincitrice anch’essa, Italia.
Non viene effettuata nessuna revisione confinaria neppure oggi, anche perché, stando almeno a quanto riferiscono i mezzi di comunicazione, non vi è alcuna richiesta da parte dell’Italia. Ma non chiederla non significa che il popolo italiano e le sue classi dirigenti non la vogliono, significa solo che popolo e classi dirigenti sono e saranno sempre pronti, in presenza di circostanze favorevoli, ad allontanarsi da quei popoli e da quelle classi dirigenti straniere con i quali sono stati fino a quel momento costretti a tenere in vita un trattato che hanno dovuto subire. E questa presa di posizione verrà nuovamente chiamata “tradimento”, ma si discuterà di un trattato la cui stipula il governo italiano non ha avuto la forza di contrastare a sufficienza per evitare quella ratifica che gli avrebbe attribuito la dignità di patto consensuale. Si tratta di quel tipo di “tradimento” che gli imperialisti e i lettori proni alle direttive propagandistiche delle loro gazzette rinunciatarie, rimproverano sempre agli sconfitti ed agli oppressi, rivendicando il primato delle costituzioni formali su quelle materiali, degli accordi formali sulle relazioni improntate alla giustizia reale.

La revisione delle clausole confinarie del TP47 volta al raggiungimento dei confini naturali italiani deve dunque essere sempre presente nel programma di ogni governo nazionale italiano (non solo nel chiuso dei consessi diplomatici e militari), e nel programma di quegli stati confinanti con l’Italia che desiderino evitare presenti e future incomprensioni con la nostra nazione, foriere di contrasti e conflitti di vario genere.
E’ auspicabile una discussione sulla revisione del TP47 che coinvolga tutta la Nazione; una discussione in particolare sui suoi confini, perché la revisione dei confini costituisce il nocciolo vero della revisione del TP47. Sotto questo aspetto il TP47 non avuto affatto una vita breve, ma lunghissima, tant’è che dura ancora oggi, a 68 anni di distanza dalla sua ratifica, e a 70 anni dalla sconfitta che lo ha prodotto: gli occupanti di ieri hanno rinunciato nel tempo solo a pochi metri quadrati del territorio naturale italiano sottratto allora. La sottovalutazione delle modifiche territoriali operate dal TP47 ai danni dell’Italia, per viltà inconscia o dolosa, può indurre qualcuno a sorridere del TP47, presentandolo come un trattato dalla durata breve perché non più applicato con riguardo ad alcune sue clausole non territoriali; giudizio questo ben gradito alle nazioni che hanno annesso politicamente i territori strappati all’Italia e che si guardano bene dal restituirli.
Affermando la validità del principio di revisione del TP47, chiediamoci in che misura le nazioni nemiche di ieri possano rinunciare oggi al loro indebito arricchimento territoriale, contestuale ad un indebito immiserimento del loro e del nostro onore nazionale; Chiediamoci se la nostra azione diplomatica nei confronti dell’Europa, degli Stati Uniti e del mondo intero, sia costantemente rivolta ad ottenere il nostro rientro in Istria, a Fiume e in Dalmazia, e il ripristino di quella parte di confini occidentali con la Francia che prima della Seconda Guerra Mondiale erano fissati sullo spartiacque alpino. La nostra diplomazia sollecita costantemente questo obiettivo, a prescindere dal contingente schieramento politico che si trovi al governo della Nazione?

Chi scrive ritiene che l’Italia debba reclamare lo spartiacque alpino, dunque solo il suo confine naturale; infatti, anche quando ipotizza il suo confine naturale più orientale, fino al fiume Boiana, includendo cioé la Dalmazia meridionale nei confini nazionali italiani, lo fa formulando una ipotesi basata su argomentazioni che tengono conto dei bacini idrografici e delle catene montuose maggiormente rilevanti. Si vuole un confine orientale italiano politico coincidente con il suo confine orientale italiano naturale, presidiato da quei soldati e da quei carabinieri italiani che vengono richiesti con insistenza dagli statunitensi in tutte le zone del mondo in cui combattono insieme agli europei per la sicurezza delle nazioni occidentali, per la sicurezza dell’intero Pianeta.
Le remore della prima metà del Novecento sulla espansione economica e militare dell’Italia nei Balcani e in Asia vanno cancellate, anche perché la messa in sicurezza delle centinaia di chilometri di confine orientale impegnerebbe l’Italia per decenni, con tutti suoi mezzi economici e militari.

Il confine naturale d’Italia a oriente deve essere difeso dai soldati d’Italia, gli unici soldati cui compete la difesa di quelle terre geograficamente italiane, gli unici soldati che avranno le motivazioni ideali necessarie per difendere quelle terre, perché in quelle terre quei soldati hanno radici millenarie. Radici che verranno riscoperte dai pronipoti dei fanti che presidiarono il displuvio delle Alpi Giulie, dai marinai i cui progenitori abitarono le sponde orientali  dell’Adriatico, dagli eredi morali di quegli aviatori che volando su Vienna lanciarono manifestini e non bombe e che saranno ben contenti di limitarsi al sorvolo del versante italiano delle cime alpine di confine.

L’Italia, dopo aver ottenuto di percorrere almeno una tappa di quella strada che la condurrà ad avere per confine il suo displuvio alpino dal Mar Ligure al Mare Adriatico, sarebbe davvero uno stato leale con gli altri stati d’Europa, con gli Stati Uniti, e con tutti gli altri stati con essi solidali nel perseguimento di questo obiettivo. Gli italiani infatti, soddisfatti i propri diritti, avranno il dovere di manifestare concretamente la loro affidabilità e solidarietà con un controllo del territorio nazionale volto a garantire la sicurezza non solo all’Italia ma anche a tutte quelle nazioni amiche minacciate dagli attentati terroristici e dal traffico d’armi e di droga.
Gli italiani alleati seri e irriducibili come durante la Quinta Guerra d’Indipendenza, quella che il resto del mondo chiama Prima Guerra Mondiale.

Nei territori riacquistati ci si dovrebbe riavvicinare alle quote etniche d’anteguerra, con un  nuovo insediamento graduale delle popolazioni storicamente autoctone.
Il governo italiano imporrebbe ai propri cittadini il perfetto bilinguismo nelle terre ricongiunte alla Nazione.
Il governo italiano non vorrà nessun profugo tra le file dei nuovi cittadini italiani di lingua non italiana, neppure tra quelli residenti nelle case lasciate dai profughi italiani di lingua italiana dopo la resa senza condizioni del 3 settembre 1943. A quei nostri profughi che volessero rientrare nei territori abbandonati, e non solo a loro, il governo italiano vittorioso sulla barbarie procurerà altri alloggi, fino a ripristinare le quote etniche quali erano alla mezzanotte tra il 9 e il 10 giugno 1940.

Il parziale riacquisto di territori naturali italiani persi per effetto del TP47, viene propugnato contestualmente all’indisponibilità assoluta a compensazioni per il mancato riacquisto da ottenersi mediante territori transalpini, che costituirebbero un ulteriore indebito impoverimento dell’identità nazionale italiana rispetto a quello causato dalle mutilazioni imposte dal TP47 al territorio naturale italiano.
Il progetto di revisione confinaria va portato avanti pur tenendo presente che sarà difficilissimo che croati e sloveni arrivino ad accettare la revisione dei confini, anche se parziale e sempre soltanto secondo il principio del confine naturale, eccetto forse una parte di quelli che per secoli hanno coabitato con gli italiani pacificamente, o quasi, in Istria, a Fiume e in Dalmazia.

Per esaminare le modalità della revisione del Trattato di Pace del 1947 bisogna tenere presente la realtà politica, come fecero a suo tempo Cavour e Vittorio Emanuele II, che non raggiunsero la prima parziale unità d’Italia in una sola volta ma per tappe. Ma al tempo stesso bisogna avere ben in mente il traguardo, al fine di evitare dannose dispersioni di energie, quali sono state in passato le diverse guerre dichiarate a occidente, a oriente e a meridione, per conquistare territori transalpini e d’oltre mare.
Il traguardo è costituito dal raggiungimento dei confini naturali d’Italia.
Le varie tappe attraverso cui raggiungerli saranno dettate dalla politica, come già scritto, cioè dall’esame delle possibilità reali di raggiungerli senza compromettere l’esistenza dell’intera Nazione con una guerra velleitaria o con una pace rinunciataria.

Scandagliare le varie ipotesi di revisione del TP47 formulate all’epoca è compito meritorio e caratteristico dell’azione di ricerca storica. Ma un testo di divulgazione come questo, una volta chiarito che le ipotesi di revisione del TP47 furono formulate da più parti, che furono molte, e che quindi hanno radici contestuali alla sua firma e precedenti alla sua entrata in vigore, preferisce distogliere l’attenzione delle sue pagine dai recessi diplomatici ambigui di una storia troppo recente per poter essere a pieno titolo definita tale, per rivolgerla alla cronaca, all’individuazione delle tappe da percorrere per la revisione del TP47 ritenute raggiungibili oggi.
Va costituito un movimento interpartitico per la Revisione progressiva del Trattato di Pace del 1947, coinvolgendo chiunque abbia a cuore gli interessi e le giuste rivendicazioni dell’Italia.
Vanno sostenuti i comitati degli italo-americani eredi diretti o morali di quelli che nel dopoguerra cercarono di mitigare le condizioni del TP47, e tutte le organizzazioni internazionali degli italiani all’estero, anche informando – non dirigendo – la loro stampa.
Per le associazioni degli esuli, si tratta di attuare il programma – per fare due esempi – previsto dall’articolo 2 dello Statuto del Libero Comune di Fiume in esilio, che alla lettera si propone di “rivendicare in nome della storia, dell’arte e della cultura italiana di Fiume e del Carnaro, nel rispetto della libertà e del diritto delle Genti, il ritorno di quelle terre alla Patria italiana”(3); di attuare il programma previsto dall’articolo 2 dello Statuto dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che in particolare si propone di “ a) compiere ogni legittima azione che possa agevolare il ritorno delle Terre Italiane della Venezia Giulia, del Carnaro e della Dalmazia in seno alla Madrepatria, concorrendo sul piano nazionale al processo di revisione del Trattato di Pace per quanto riguarda l’assetto politico di tali terre anche nel quadro del processo di unità europea”(4).
Uno studio particolare andrebbe fatto su tutti i centri politicamente stranieri ma insistenti su territori naturalmente italiani, abitati da comunità nazionali diverse, per i quali si auspica il plurilinguismo. A questo proposito sarà utile chiarire che richiedere con forza il plurilinguismo in tutti i territori in cui abitano italiani, può sembrare oggi una richiesta senza contropartita per la comunità statuale straniera di appartenenza, visto che i nostri connazionali sono sottoposti alla loro sovrana amministrazione politica, ma riflettendoci bene si evincerà che risulterebbe vincolante per un’eventuale futura sovrana amministrazione politica italiana degli stessi territori. Insomma il plurilinguismo perfetto proposto su quel determinato territorio tutelerebbe con un minimo comun denominatore di diritti, e quindi di civiltà, figli e nipoti di tutte le nazioni in questione, siano o no sovrane politicamente in quel dato momento storico.

Un esempio di evoluzione materiale nei rapporti tra stati, a prescindere cioè dai trattati seguiti alle vittorie in guerre di ieri o dell’altro ieri, lo abbiamo avuto, in relazione al nostro territorio nazionale, nei rapporti con il Regno Unito. Sebbene dopo la Seconda Guerra Mondiale la sua politica sia stata imperiale e poco europea – nel voler per esempio ridimensionare l’influenza italiana nel Mediterraneo – pure, col TP47 non accresce di un solo metro quadrato italiano il territorio geograficamente italiano delle Isole Maltesi sottoposto alla sua dominazione, ma anzi rinuncia progressivamente ad esso: “Le Isole Maltesi ottennero l’indipendenza il 21 settembre 1964, indipendenza per altro limitata visto che conservarono per Capo dello Stato il monarca britannico; l’indipendenza divenne assoluta solo il 13 dicembre 1977, quando il Capo dello Stato fu eletto tra i maltesi e fu chiamato Presidente di Malta, della Repubblica di Malta, che dal 1980 strinse rapporti più stretti con l’Italia.”(5)
La Gran Bretagna è dunque un alleato, potenziale, dell’Italia, per il raggiungimento dei suoi confini naturali, perchè i suoi soldati e la sua polizia non offendono nessuna isola geograficamente italiana, né alcuna altra area geograficamente italiana, situata cioè al di qua dello spartiacque alpino.
Quanto premesso non ci impedisce però di riflettere sul fatto che la rinuncia del Regno Unito alla sovranità su un territorio geograficamente italiano, avvenne col più o meno contestuale insediamento delle basi in Italia e quindi nello stesso Mediterraneo, degli altri 50 stati anglosassoni suoi cugini e alleati, i 50 Stati Uniti.

Quale il traguardo da raggiungere
Il traguardo da raggiungere mediante la revisione del TP47, è il ripristino dei confini politiciitaliani coincidenti con quelli naturali, quali erano alla mezzanotte tra il 9 e il 10 giugno 1940.

Come raggiungere il traguardo
Bisogna raggiungere il traguardo del ripristino dei confini naturali italiani quali erano prima dell’entrata in vigore del TP47, rispettando, nel processo di revisione del Trattato, quello che in qualsiasi manuale che sovrintenda alla regolazione dei confini internazionali potrebbe chiamarsi “Paragrafo 5”. Paragrafo dal contenuto smilzo, una sola riga: non uccidere.
In presenza di una evoluzione del genere umano che voglia raggiungere traguardi ancora più ambiziosi, si potrebbe nobilitare ulteriormente il manuale di regolamentazione dei confini internazionali codificando un altro principio, denominandolo “Paragrafo 7”. Paragrafo dal contenuto smilzo, una sola riga: non rubare. L’applicazione di questo secondo paragrafo costituisce però un traguardo per raggiungere il quale occorre un piano d’azione più complesso da attuare, perché dovrebbe affrontare un intreccio di opinioni e fatti non sempre chiaramente distinguibili tra essi.
Limitiamoci dunque per il momento ad adottare come sicura norma di comportamento internazionalmente garantita quella contenuta nel “Paragrafo 5”. La trasgressione della quale, mediante omicidio, strage, genocidio, comporta effetti rilevabili  inconfutabilmente.

(1)  Abbinamento editoriale VHS La rabbia, Il borghese 1997 Quarto potere
(2) Il confine italo-francese,  l’universo pagg. 721/752, Firenze, Istituto geografico militare, settembre-ottobre 1981
(3) Statuto del Libero Comune di Fiume in esilio, edizione 1971, pag. 4
(4) Statuto dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia aggiornato con le modifiche approvate dal XVII    Congresso Nazionale di Roma 2003
(5) Claudio Susmel, I confini naturali d’Italia, Sassari, Carlo Delfino editore, 2011

Claudio Susmel

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