La Crimea e il “Paragrafo 5”
Ipotizzare la regolamentazione di una guerra dichiarata per una controversia confinaria, costituisce un obiettivo ambizioso, da attuarsi con estrema prudenza.
Opportuno fissare pochi ma precisi paragrafi operativi.
Il più importante consiste nel chiedere a sé stessi e alle controparti il rispetto di quello che possiamo chiamare “Paragrafo 5”: non uccidere.
Visti i precedenti storici, noi italiani, e in particolare i giuliano dalmati profughi dopo la Seconda Guerra Mondiale da Istria, Fiume e Dalmazia per evitare una morte violenta, è probabile riteniamo questo paragrafo di non facile applicabilità se non impossibile da realizzarsi.
Eppure di recente ci si è andati molto vicini, anche se non a casa nostra.
La Russia ha invaso la Crimea.
Non entriamo nel merito delle aspirazioni russe al riacquisto della penisola di Crimea che, nell’ambito della comunità statuale dell’Unione Sovietica, venne staccata negli anni Cinquanta del secolo scorso dalla Russia, per essere annessa all’Ucraina. Ci limitiamo a registrare la preoccupazione costante della prima di non usare le armi durante l’invasione se non in funzione dissuasiva, insomma senza sparare; pare ci sia stato un morto, ma non è ancora chiaro se davvero per opera dei militari russi (con o senza mostrine visibili), o di altri.
A giudicare dai titoli di giornale sembra che mezzo mondo reclami per l’invasione del suolo ucraino (già russo sovietico) da parte dei mezzi corazzati dell’esercito russo, e per il referendum tenuto nella Crimea occupata dai russi risultato favorevole alla secessione della penisola dall’Ucraina ed alla sua annessione alla Russia.
Chissà se l’altra metà, cui i mezzi di comunicazione non hanno dato forse altrettanto spazio, non si stia invece rasserenando perché si è resa conto della preoccupazione dell’ orso russo – temutissimo dagli europei centro orientali soprattutto – di non trasformare in un cimitero l’Ucraina, come nel secolo scorso l’orso sovietico suo avo aveva fatto di parte della Polonia, della Germania Est, dell’Ungheria e della Cecoslovacchia.
Questa metà del mondo più silenziosa rispetto all’altra, preferisce forse rendere alla Russia l’omaggio di quel comportamento prudente che si deve tenere nei confronti di una potenza euroasiatica.
Magari con un po’ di torcicollo per non essere costretta a giudicare tutte le sue azioni secondo il diritto internazionale.
Ma anche con sufficiente buon senso per guardare un atlante e rendersi conto che lo smisurato territorio della Russia – se non altro – impedisce di definirla una potenza regionale.
Claudio Susmel