Revisione del Trattato di Pace
del 1947/14
Quo ivisti Maior Patria mea dilecta?
Eravamo anche in Cina.
Già. Ma come? Perché?
Nel 1557 vi era in questa antichissima nazione dell’oriente più lontano da noi – lo chiamano “Estremo” – solo una piccola concessione di 18 kmq a favore del Portogallo, a sud di Canton.
Ma dal 1840, con la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna alla Cina e il conseguente Trattato di Nanchino, con cui la Gran Bretagna otteneva Hong Kong, si ha una progressiva occupazione del territorio nazionale cinese, a vario titolo giuridico, da parte delle potenze europee, e non solo europee.
Nel 1898 scoppia l’insurrezione detta dei Boxer – nome dato agli insorti, per altro finiti al tappeto – cui seguì la spedizione internazionale del 1901, con la partecipazione, insieme ad Austria – Ungheria, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti, anche dell’Italia. Questa ignobile, collettiva – e per questo ancor più vile – aggressione alla Cina, fece intascare all’Italia la Concessione perpetua di Tien – Tsin, non lontana da Pechino e dal mare (1). Tien – Tsin che “… Giace sulla sinistra del fiume Hai – ho, che ne segna il confine meridionale per circa un chilometro. La sua superficie è di 447.647 metri quadrati …” (2).
Non abbiamo più la concessione a Tien – Tsin a seguito dell’art. 25 del TP47: “L’Italia accetta l’annullamento del contratto d’affitto concessole dal Governo cinese in base al quale era stabilita la Concessione italiana a Tien – Tsin ed accetta inoltre di trasmettere al Governo cinese tutti i beni e gli archivi appartenenti al Municipio di detta Concessione”. Bene, ma senza entrare nel merito della consegna dei beni e degli archivi della stessa, rispetto ai quali occorrerebbe chiarire in che misura essi risultassero frutto del lavoro ultraquarantennale degli italiani.
Sì, bene, ma non desideriamo neppure sostituire la concessione italiana a Tien – Tsin – per l’identico principio di giustizia – con una concessione cinese a Prato, l’industriosa cittadina non lontana da Firenze, dove le ditte cinesi che si occupano di tessile occupano una notevole estensione di territorio nazionale italiano e, a leggere diversi giornali, con saracinesche abbassate non molto ben disposte ad aprirsi alla curiosità degli italiani.
E’ sempre buona vittoria quella che non vince troppo; i cinesi, che nel loro sconfinato territorio non hanno sopportato, giustamente, l’occupazione delle potenze straniere, pensino a quanto poco opportuno risulti il presuntuoso ed arrogante espandersi della loro presenza in un territorio così piccolo e sovraffollato da nativi e stranieri quale è quello dell’ Italia, che nell’anno del Signore 2016 ha una densità di 201 abitanti per kmq (3). E i cinesi riflettano anche sul fatto che noi non siamo il Tibet, siamo confinanti con gli altri stati europei, e la nostra indipendenza è fondamentale per l’indipendenza dell’intero Occidente, Stati Uniti inclusi.
Piuttosto che sui reciproci territori nazionali è meglio disputare sulla cittadinanza dell’inventore degli spaghetti: cinese o italiano?
Chi trova oziose queste controversie su primati così poco aureolati di gloria, farà bene a riflettere sul fatto che questo tipo di conflitti – a meno che non siano alimentati da troppo frequenti assaggi con conseguenti disturbi per la salute dei belligeranti – non comportano perdite né di sangue umano, né di quei reperti archeologici di cui le due nazioni sono ricchissime e che i bombardamenti aerei metterebbero a rovina.
(1) – Umberto Ademollo, Stati d’Europa e dell’Estremo Oriente, C.T.I. 1938. pagg. 217, 221.
(2) – Edizione del “Finanziere”, Taccuino agenda 1937–XV Anno secondo dell’Impero pag. 33, Roma, Tipografia agostiniana, 1937.
(3) – Calendario Atlante De Agostini 2016, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 2015.
"La Turchia in Europa è la fine dell'Europa" Claudio Susmel
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